Solo le elezioni anticipate possono consentire a Berlusconi di tenere insieme Forza Italia

2 Ago 2013 18:57 - di Mario Landolfi

Era dai tempi del piccolo Alfredino Rampi che l’Italia non restava inchiodata davanti alla tv in attesa di conoscere l’esito di un evento non sportivo. Oltre trent’anni fa restammo col fiato sospeso nella speranza che due mani miracolose riuscissero a strappare il povero bambino da quel maledetto incunabolo in cui era precipitato e che invece ne decretò la morte. Sul ciglio di quel pozzo, a Vermicino, sostò a lungo anche il presidente Pertini ad incarnare limiti e virtù di un Paese mai completamente organizzato ed efficiente ma tuttavia generoso e capace di slanci solidali come nessun altro.
Tutta un’altra storia quella di ieri, con mezza Italia incollata davanti al piccolo schermo (tv, pc o tablet non importa) per apprendere in tempo reale la sorte di Silvio Berlusconi, il leader politico più amato e controverso dal dopoguerra ad oggi, finito nel metaforico pozzo di una serie incredibile di vicende giudiziarie. Anche questa volta, però, il miracolo – almeno per quei milioni e milioni di italiani che tuttora lo seguono – non è arrivato. In compenso è arrivata la Cassazione, la cui sentenza di definitiva condanna proprio mentre chiude la vicenda giudiziaria del Cavaliere finisce per spalancare un baratro sotto i piedi del governo in carica e più in generale dell’intero sistema politico. Anche questa volta c’è stato un presidente della Repubblica che ha (idealmente) vegliato. A differenza del suo predecessore Pertini, però, a lui non toccherà commuoversi per una giovanissima esistenza stroncata dal caso, bensì preoccuparsi per la pericolosa spirale intorno alla quale si sono da tempo avvitate politica e magistratura con esiti potenzialmente esiziali per il nostro sistema-Paese.
Il comunicato diramato dal Quirinale a verdetto ancora caldo sembra confermare questa preoccupazione visto che finalmente sdogana il tema della riforma della giustizia finora spacciato come un’insana ossessione berlusconiana. Probabilmente, però, non se ne farà niente come tante altre volte e si può giurare che i guardiani dello status quo stiano già silenziosamente all’opera nel tentativo di boicottare qualsiasi ipotesi di modifica dell’attuale impianto normativo.
Sia come sia ed al di là di tutte le migliori intenzioni, appare addirittura scontato che da ieri nulla sarà più come prima nella politica italiana a cominciare dalle previsioni sulla durata del governo. Piaccia o meno, Berlusconi è (era?) un fattore stabilizzante di un assetto politico uscito dalle urne di febbraio come un complicatissimo rompicapo. Lui da un lato e Napolitano dall’altro sono riusciti a “sopire e a troncare” tensioni ed asperità nei rispettivi campi d’azione per consegnare a Letta un terreno completamente bonificato dai veleni della campagna elettorale. La sentenza di ieri ci riporterà fatalmente a sei mesi fa con la differenza che sarà ora il Pd a trasformarsi nel comodo bersaglio di un antiberlusconismo radicale ormai libero di scorazzare nelle praterie del più vieto giustizialismo. Con il Cavaliere tecnicamente pregiudicato, quanto tempo potrà impiegare la saldatura tra vendoliani, grillini e renziani a far saltare il banco del governo? Poco, presumibilmente e questo la sanno tutti a cominciare da Napolitano. Del resto, il tramestio ripreso intorno alla modifica della legge elettorale ne costituisce puntuale conferma. Il “piano b” è già in fase di allestimento in caso precipitasse l’attuale strana maggioranza. Lo ha ben compreso lo stesso Cavaliere. Non a caso il suo videomessaggio postcondanna tradiva un’impronta elettorale. Profondo conoscitore di uomini e cose, l’ex-premier sa che il tempo non lavora per lui. Soprattutto sa che rischia di risultare priva di reale e convinta adesione la sua esortazione a stare tutti insieme che ha preceduto il richiamo a Forza Italia ed il riferimento ai giovani ed alla società civile. I cosiddetti falchi e le sedicenti colombe coltivano obiettivi opposti. Solo elezioni imminenti possono costringerli a serrare i ranghi.
Insomma, quello intrapreso ieri dal Cavaliere è un difficile viaggio di ritorno alla ricerca delle motivazioni che ne determinarono la “discesa in campo”. Fatica tanto nobile quanto inutile: tutto scorre e a nessuno riesce di tuffarsi due volte nelle stesse acque di un fiume. Probabilmente, se tra ritorni, restyling e remake si trovasse anche il tempo per una coraggiosa autocritica in merito a qualche riforma non fatta e per rimettere in circolo qualche idea nuova, non sarebbe sprecato.

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