Criticare la Boldrini non è un reato né una bestemmia, la sinistra se ne faccia una ragione
Lo schema è costruito ad arte: chi critica la Boldrini è «sessista», chi critica la Kyenge è «razzista». Le violenze verbali contro gli esponenti del centrodestra invece sono «libera espressione del pensiero» e in fondo anche «giuste» perché loro sono «reazionari, fascisti, nani e delinquenti». La sinistra, con la complicità dei giornali amici, ha imposto questi parametri, è il suo modo di concepire la democrazia. Di conseguenza, anche per i commenti sul web lo scandalo esplode solo quando viene colpito il duo Boldrini-Kyenge, mentre gli insulti agli altri passano inosservate e persino il manichino impiccato di Berlusconi diventa una forma d’arte. Ma lo schema è talmente fragile da frantumarsi di fronte alle innumerevoli gaffe delle due eroine della sinistra, non ultima la risposta della presidente della Camera («non offenda») al grillino Di Battista che aveva detto in aula che «il Pd è peggio del Pdl». Una gaffe enorme, bollata da Grillo come «meravigliosa». La Boldrini se le cerca. Di recente ha detto di essere una «donna che viene dal popolo» mentre sanno tutti che è la tipica borghese marchigiana, nipote di un petroliere, figlia primogenita di un avvocato e di un’insegnante d’arte. Da ragazza è stata anche un po’ capricciosa, visto che dopo la maturità ha deciso di viaggiare per il mondo (cosa che alle «donne del popolo» capita raramente), e che si è laureata alla Sapienza di Roma per poi entrare in Eni, Rai, Onu e Fao. Non se l’è mai passata male: dal 1993 al 1998 ha lavorato al Programma alimentare mondiale (Wfp) come portavoce e addetto stampa per l’Italia. In quegli anni ha svolto ripetute missioni in Ex Jugoslavia, Caucaso, Afghanistan, Tajikistan, Mozambico e Iraq. Dal 1998 al 2012 ha ricoperto l’incarico di portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr, Regional Representation Southern Europe). Niente male, non ha certo sofferto la fame come voleva far credere. Naturale, quindi, che sul web si sia scatenata la protesta, con commenti non proprio eleganti. Ma sono stati proprio i commenti su Facebook e sui blog a farla esplodere: «Quando una donna riveste incarichi pubblici si scatena contro di lei l’aggressione sessista». Non diceva le stesse cose, però, quando gli incarichi pubblici erano rivestiti da altre donne. Forse perché erano donne di centrodestra e potevano essere impallinate. La Boldrini poi ha collezionato una serie di uscite poco felici o quantomeno poco credibili, come quando raccontava di come il padre le faceva recitare il rosario in latino, per poi finire alle parole pronunciate dopo che Luigi Preiti sparò contro i carabinieri davanti a Palazzo Chigi: «Chi ha sparato era disperato, la crisi trasforma le vittime in carnefici». Enrico Mentana, in un tweet, due giorni dopo scrisse: «Definire Preiti vittima che diventa carnefice, come fa Laura Boldrini, dà alibi sociale all’orrore del cittadino che si fa giustizia da sé». Fra le altre gaffe della Boldrini, le frasi «non immaginavo esistesse tanta povertà» e «in tv i modelli sono quelli della casalinga o della donna seminuda. Da lì alla violenza il passo è breve». Un ventaglio di sciocchezze politiche si presta alla valanga di sfottò sul web e alle ironie nell’aula parlamentare. Basta ricordare che il deputato leghista Gianluca Buonanno etichettò la presidente della Camera come «la Donna Prassede dei Promessi Sposi» per poi aggiungere: «Il personaggio di Manzoni pensava che il monopolio del bene fosse lei, in realtà le cose erano ben diverse. Lei mi ricorda quella persona». Di fronte a tutto questo è difficile sostenere la tesi che chi critica la Boldrini è sessista. Così com’è difficile sostenere la tesi che chi critica la Kyenge è razzista. Tra l’immaginaria donna del popolo e l’immaginaria tesi dei genitori “uno” e “due” scegliere è difficile, criticare è un gioco da ragazzi. Con buona pace dei falsi moralisti della sinistra.