“Destinazione Italia”, un progetto ambizioso che forse resterà l’ennesimo libro dei sogni
Mettiamola così. C’è una discrasia assai evidente tra le fibrillazioni quotidiane che agitano il quadro politico, e mettono a rischio permanete un governo costretto a vivere alla giornata, e il varo di “Destinazione Italia”, ossia del documento programmatico che il governo si appresta a varare. Il documento, nelle sue fittissime pagine, racchiude qualcosa come 40 azioni più o meno strategiche per rendere attrattivo il nostro Paese agli occhi e alle tasche degli investitori esteri. Un progetto ambizioso, non c’è dubbio. Ove fosse realizzato, segnerebbe un cambio di passo notevole. Messo a punto dai tecnici dei ministeri dello Sviluppo , degli Esteri e della presidenza del Consiglio, “Destinazione Italia” disegna il profilo di una Italia diversa, nuova e moderna. Un Paese finalmente disincagliato dalla morsa burocratica, liberato dalle pastoie bizantine che rendono impervio il percorso per chiunque voglia inerpicarsi sul sentiero delle autorizzazioni amministrative , una volta assunta la decisione di aprire un’azienda. Un Paese dove, per chi arriva, si aprono certezze sotto il profilo fiscale e sui tempi di realizzazione dell’opera per la quale si investono le proprie risorse. Dove, se devi comprare un immobile di proprietà pubblica, non finisci nel tritacarne, alle prese con indefinite e lunghissime procedure per il cambio di destinazione d’uso, che pure è la base essenziale per valorizzare il bene, renderlo fruibile oltre che profittevole. Un Paese, dove, per investimenti superiori a una certa soglia, funziona un regime di tax agreements: impresa e Agenzia delle Entrate concordano in via preventiva, senza che possa essere modificato, l’entità dei versamenti fiscali per un arco di tempo definito. Ad esempio, per i primi cinque anni, dal momento in cui si investe, vige un patto per il quale non mutano gli oneri tributari in capo all’investitore e viene fissato un tavolo ad hoc per risolvere ex-ante possibili controversie interpretative. Ancora. Nel caleidoscopio delle buone intenzioni rifulge come una nuova stella del firmamento borsistico la serie di articolate proposte per rivitalizzare l’asfittico mercato azionario. Si va dagli incentivi fiscali all’investimento in azioni o quote di pmi quotate o quotande, ad un sistema di regole per alleggerire il peso degli adempimenti per gli emittenti; dal rendere più aperti i games di accesso al creare un sistema che renda più favorevole la permanenza sul mercato; dall’annullamento dell’imposta sulle plusvalenze per chi investe in small caps, per un periodo di almeno 3/5 anni, a una più robusta premialità per le società che si quotano tramite aumento di capitale, fino a prevedere clausole di riscatto delle azioni più solide per esercitare il diritto di recesso. Non mancano, inoltre, novità sul versante del lavoro. Si torna a parlare di riduzione del cuneo fiscale e di un testo semplificato del Lavoro che aiuti a comprendere le regole che lo governano. Regole, detto per inciso, che appaiono astruse (oltre che perniciose, dopo i ritocchi della Fornero) a noi italiani, figuriamoci agli stranieri, abituati a ben altro regime. Comunque sia, in “Destinazione Italia” riappare il “contratto di reinserimento”: per ogni assunto a tempo indeterminato le imprese potranno usufruire di esenzione da imposte e contributi, ossia pagare soltanto l’integrazione salariale, se offrono lavoro a chi è in mobilità o in cassa integrazione. Come si vede, il canovaccio è spesso e nutrito. Le buone intenzioni, appunto, non mancano. C’è da chiedersi quante di essere potranno tramutarsi in provvedimenti concreti. Con quali coperture? Entro quali tempi? E, soprattutto, ci chiediamo quanta coerenza ci sia tra un Documento come questo e la tormentata ricerca, sempre più assillante in queste ore, del miliardo di euro per evitare l’aumento dell’Iva. Non solo. Stride fortemente, in tale contesto, la genuflessione alle scorribande del commissario europeo Olli Rehn, che è venuto a farci la predica sull’Imu e sull’Iva, senza che nessuno dal governo gli replicasse. Al contrario, il presidente del Consiglio, Enrico Letta, si è subito affannato nel fornire rassicurazioni. Ma non avevamo terminato i compiti? Non avevamo recuperato credibilità? Non eravamo usciti dal tunnel della nostra inaffidabilità mettendo a posto i conti con i parametri imposti dall’Europa? Ecco, se c’ è una cosa che turba , è proprio questo pedissequo vassallaggio. E’ la opacità, l’incertezza che rende barcollante ogni azione che recuperi un minimo di autonomia decisionale, non dico di Sovranità, che è una parola grossa di questi tempi; parliamo di quel minimo di autonomia, di un esile margine che pur avremmo il diritto di pretendere per scongiurare, finché siamo ancora in tempo, il depauperamento del nostro sistema industriale e arrestare il progressivo impoverimento del nostro popolo. Nutriamo la fondata preoccupazione che “Destinazione Italia” , con il suo carico di proposte e di buone intenzioni, vada ad arricchire il già folto archivio dei libri bianchi che fanno bella mostra di sé nelle biblioteche del Parlamento e di Palazzo Chigi . Ci sia consentita una malignità. Se i tempi e le condizioni politiche restano quelle che sono – e non vediamo , allo stato, come possano mutare – siamo proprio certi che questo ambizioso progetto sia frutto di una concreta volontà del fare? O non sia piuttosto, un pregevole esercizio accademico ,dispensatore di progetti a futura memoria. Utile, forse, per posizionarsi meglio in vista della competizione elettorale. Un libro dei sogni. Destinazione biblioteca. Altro che Destinazione Italia.