Il Pd alla ricerca di una nuova maggioranza, Letta “ripudia” il suo governo e Renzi mette le mani sulla segreteria
Stupefacente. Non avevamo ancora sentito un premier dire, sostanzialmente, che il governo che presiede non è quello che avrebbe voluto. E nemmeno che in futuro lavorerà per un governo che sia sostenuto da un’altra maggioranza. Dunque, sempre sostanzialmente, ci ha fatto capire che questo “suo” governo” non è il suo ed è “costretto” dagli eventi, dalle circostanze, dalla situazione generale, dall’impazzimento pubblico e istituzionale, dal confusionismo dominante a fare il presidente del Consiglio suo malgrado con compagni di strada che non si è scelto lui. Diagnosi perfetta e rassicurante quella di Enrico Letta, non c’è che dire. E rivelatrice, soprattutto, dello stato di decozione politica in cui versa l’Italia.
Non sappiamo come abbiano preso le esternazioni lettiane i ministri del Pdl, ma al punto in cui siamo probabilmente gli sono scivolate addosso senza lasciare segni visibili. Tanto tutti sanno che il governo è a termine e la sua esperienza potrebbe concludersi la prossima settimana , o forse poco più in là. Nessuno si azzarda a giurare su una nuova capacità propulsiva che potrebbe venir fuori non si sa bene da quale impulso. Lo stato delle cose non autorizza neppure il più pallido ottimismo.
Sempre nel Pdl vedono benissimo che il cantiere per la costruzione di un Letta bis è in stato avanzato. Al Senato mancano sette voti per una nuova maggioranza che lo sostenga, con i berlusconiani all’opposizione. Le anime candide fanno finta di meravigliarsi delle nomine del capo dello Stato dei quattro senatori a vita: ma cosa credevano, che Napolitano alla sua veneranda età avesse rinunciato a fare politica e non cogliesse l’opportunità offertagli proprio dal centrodestra di poter continuare a menare la danze, sempre nel rispetto della Costituzione, s’intende, ma che – guarda caso – non coincide quasi mai con i desiderata di una certa parte, la quale vive di illusioni e di incubi e raramente nuota nel realismo?
Dunque, la strada sembra segnata. E se non bastassero le dichiarazioni “propagandistiche” fatte davanti al “suo” popolo da Letta, mettiamoci pure quelle di Matteo Renzi, campione della banalità finché si vuole, ma leader accreditato a prendere in mano il partito, come lui stesso ha detto saltando da una festa del Pd all’all’altra fino ad annunciarlo solennemente in televisione, sollecitato da Mentana. Ha pure aggiunto che “a votare non si va”, il che vuol dire, senza equivoci, che i lavori a cui alludevamo, sono in corso; che pretende regole certe per il congresso (messaggio a Epifani, Bersani, e compagnia cantante, forte dell’appoggio questa volta di D’Alema e Veltroni, i “rottamati” di un tempo); e glissa però sulla decadenza di Berlusconi tanto per non apparire forcaiolo, il ché gli inibirebbe molte simpatie tra i moderati del Pd.
A proposito di questi ieri è stato “processato” a Torino Luciano Violante, imputato di aver proposto il ricorso alla Corte costituzionale della “legge Severino”. Qualcuno nel suo partito lo ha accuso di “intelligenza con il nemico”, ma l’ex-presidente della Camera a viso aperto ha sfidato i compagni che pure sembra non aver convinto. I sullodati compagni non hanno capito che allungando il brodo, semmai la Giunta delle elezioni dovesse orientarsi per il ricorso, il Pd avrebbe più tempo per riorganizzarsi e lanciare la sua Opa finale sul governo del Paese senza passare per le elezioni. Al resto ci penseranno – qualcuno dice addirittura prima della pronuncia del Senato – i giudici della Corte d’Appello di Milano che dovranno pronunciarsi sulla rimodulazione dei tempi dell’interdizione dai pubblici uffici. In ogni caso non cambia la faccenda: Berlusconi fuori, il Pd con le mani libere ed una concreta possibilità di trovarsi una maggioranza alternativa a quella attuale. Un quadretto idilliaco, che ne dite?