Un “beau geste” del Pd allenterebbe la tensione e salverebbe il governo
L’uscita di scena di Silvio Berlusconi dalla politica italiana avrebbe dovuto coincidere – a prescindere dal quando e dal come – con la chiusura della claudicante Seconda Repubblica e la nascita di un nuovo sistema politico-istituzionale capace di far uscire l’Italia dalle secche in cui è stata negli ultimi venti anni.
Dal 1993 ad oggi ci sono state grandi novità politiche, cominciate con l’elezione diretta dei sindaci, dei presidenti delle province e delle regioni, passate per il bipolarismo e la nascita del centrodestra fino ad allora assente. Un ventennio, quello dal 1993 al 2013, contrassegnato anche dalla stagione dei sindaci, interpretata oggi in versione aggiornata da Matteo Renzi, e dal bipolarismo figlio della legge elettorale maggioritaria.
Col tempo, però, la mancanza di riforme strutturali ha fiaccato questa stagione e il colpo di grazia è arrivato con la sostituzione della vecchia legge elettorale con il Porcellum, che col tempo potrebbe essere ricordato come il vero affossatore della Seconda Repubblica.
In questo quadro l’uscita di scena di Berlusconi doveva rappresentare un passo in avanti, la nascita di un nuovo assetto costruito in maniera condivisa da centrodestra e centrosinistra, scrivendo assieme le regole costituzionali ed una legge elettorale efficiente e rivolta al rapporto fiduciario tra eletto ed elettore. Ad aiutare questo obiettivo poteva esserci l’esperienza del governo delle larghe intese, sede naturale per dare avvio ad un cambiamento frutto di convergenze politiche e per far rinascere un centrodestra moderno, maturo ed europeo che la forte leadership del Cavaliere ha impedito a causa dello scontro interno ed esterno alla coalizione sulla sua persona.
A partire da oggi, invece, il ventennio berlusconiano rischia di chiudersi peggio di come stava finendo e anziché sperare in una Terza Repubblica su basi condivise si rischia un triste crepuscolo della Seconda Repubblica all’insegna dello scontro. La scelta della sinistra di liquidare l’avversario cavalcando la via giudiziaria rischia infatti di pregiudicare ogni percorso virtuoso per il futuro. Il Pd, purtroppo, è stretto nella morsa che vede da una parte la base elettorale desiderosa di sangue berlusconiano e dall’altra la consapevolezza della parte più lucida del partito, a cominciare da Luciano Violante, che la via politico-giudiziaria procurerà molti problemi al sistema politico.
Basterebbe allentare la pressione della furia giustizialista, prendere atto della richiesta di approfondimenti sulla Legge Severino avanzata da Berlusconi e attendere sereni che a decidere sulla permanenza del Cavaliere in Parlamento siano i giudici di Milano che devono ricalcolare l’interdizione annullata dalla Cassazione. Con un beau geste del genere il Pd eviterebbe uno scivolone politico senza che il corso degli eventi si modifichi. Berlusconi anziché decadere ad ottobre con un voto parlamentare della sinistra decadrebbe a dicembre per decisione del giudice e a prescindere dalla valutazione sull’iter giudiziario della vicenda la politica tutta eviterebbe di sporcarsi le mani con una vicenda che rischia di non far onore all’Italia e alla stessa sinistra, che dovrebbe puntare a battere Berlusconi elettoralmente e non per via giudiziaria appiccicandosi addosso il marchio del carnefice.