La Carta della laicità, Bergoglio e i non credenti. Colloquio con Cardini: «Il vero laico ama la libertà, non i divieti»
La Carta della laicità per le scuole, ultima trovata del ministro socialista Vincent Peillon, fa parte di un complessivo disegno di “destrutturazione” della religiosità dei cittadini francesi. Una tentazione ricorrente nella storia di questa nazione dove troppo spesso patriottismo e laicismo sembrano andare a braccetto. I punti più discussi del provvedimento li ha elencati due giorni fa il quotidiano della Cei Avvenire profetizzando una vera e propria battaglia culturale, sulla scia del movimento Manif pour Tous, quando si dovrà decidere se fare o no l’albero di Natale negli istituti. Perché i segni o gli indumenti che manifestano un’appartenenza religiosa sono rigorosamente vietati (articolo 14) così come agli allievi “non è permesso invocare una convinzione religiosa o politica per contestare a un insegnante il diritto di trattare una questione in programma”. E quel che vale per gli allievi, vale anche per gli insegnanti: anche loro dovranno evitare in tutti i modi di far capire quale sia la loro tendenza religiosa né devono accennarvi durante le lezioni. Come si vede, siamo di fronte a un concetto di laicità che si basa sui divieti e che non nasce dal libero confronto di idee e dal rispetto delle differenze.
Lo storico Franco Cardini, già in passato critico nei confronti della legge contro il velo islamico nei luoghi pubblici, si dice scettico sull’iniziativa: «Diffido della laicità alla francese. Per me essere laico ha un significato normale, che vuol dire che una persona ha le sue idee e non pretende di imporle agli altri. Inoltre, non giustifico misure che colpiscono l’ostensione di simboli religiosi, a meno che non parliamo di uno shivaita che se ne va in giro con un lingam al collo, cioè con un fallo, perché per i bambini sarebbe sconveniente. La laicità per me al contrario significa permettere alle suore di andare velate, agli ebrei di portare la stella di Davide. E lo stesso vale per i simboli politici, sono contro la loro demonizzazione, ognuno può esibire il simbolo che vuole se è il suo punto di riferimento».
La Carta della laicità è destinata a fallire? «Direi – risponde Cardini – che il formalismo cartaceo è una malattia senile del giacobinismo, un difetto dei francesi che ogni tanto appare anche in Italia. Diciamo che è un po’ contagioso, ma poi non funziona, per esempio la legge contro il velo non mi pare sia granché applicata…».
Di laicità si parla tanto anche in Italia, soprattutto oggi, in relazione alla lettera che Papa Francesco ha inviato a Scalfari e a Repubblica a proposito dei non credenti, invitandoli a seguire la propria coscienza per avvicinarsi a Dio. Alcuni commentatori si sono spinti a parlare di “fede laica” di Bergoglio (Il Fatto). Un’iperbole che nasconde una gran voglia di sconsacrare anche la Chiesa e terminare l’opera derubricando la figura del Papa a quella di un semplice predicatore di buone opere. «Questa della fede laica – osserva Cardini – mi sembra, se posso permettermi, una cazzata. Il cattolico sa che deve rispettare la libertà di ognuno ma sa anche che alla Verità con la maiuscola ci si arriva con la fede e non con la ragione. Io sono un bergoglista di ferro però devo dire che secondo me Papa Francesco ha dato a Eugenio Scalfari troppa attenzione. Il povero è una figura del Cristo, ma un anziano giornalista lautamente messo a riposo è un po’ meno degno di un profugo di Lampedusa. Quindi no agli eccessi di attenzione per questi personaggi. E del resto io pensavo che anche Ratzinger avesse dato troppa attenzione a un intellettuale come Marcello Pera…».