La strategia del vendere tutto ciò che abbiamo a gruppi esteri. L’8 settembre dell’economia

25 Set 2013 17:21 - di Marcello De Angelis

Non esiste un Paese al mondo, anche il più piccolo o il più povero, che non abbia una strategia di autotutela e di autopromozione economica e politica. La prima cosa che persino un capo tribù fa, è analizzare le risorse del proprio territorio e vedere dove concentrare strategicamente il proprio impegno. Nelle nazioni evolute questo viene fatto in modo più evoluto. Ognuno sceglie una vocazione. C’è chi come la Germania investe sulla propria capacità di produzione industriale, sulle infrastrutture per facilitare il trasporto delle merci e si lancia alla conquista dei monopoli di alcuni settori e sulle esportazioni. C’è chi come il Regno Unito rinuncia quasi completamente alla produzione industriale e si concentra sul rafforzamento del proprio potere finanziario, mantiene un’autonomia monetaria per garantirsi il controllo del mercato interno e attira capitali. La Francia, pur membro dell’Ue, continua a mantenere chiusi i propri confini alla penetrazione straniera con regole protezionistiche  che confliggono apertamente con i principi comunitari e tenta di monopolizzare la grande distribuzione continentale per assicurare un canale preferenziale ai prodotto francesi. C’è chi come la Russia ha rinunciato alla potenza militare per trasformarsi in grande potenza energetica. Chi come la Cina ha utilizzato l’infinita disponibilità di manodopera per ridurre al minino il costo del lavoro e attrarre aziende e investimenti  stranieri, ma anche per lanciare una devastante guerra di concorrenza commerciale contro il resto del mondo. L’Italia aveva tutto, in teoria. Un tessuto produttivo che  minacciava il primato tedesco, una grande quota di esportazioni, ricchezze notevoli nei forzieri delle banche frutto del risparmio privato, prodotti di indiscussa eccellenza, capacità imprenditoriale riconosciuta, telecomunicazioni avanzate, alta tecnologia, offerta culturale ecc. ecc. Dagli anni Novanta i marchi italiani sono progressivamente ma inesorabilmente passati a gruppi stranieri. Sempre più aziende o settori sani di aziende anche strategiche stanno passando sotto il controllo di gruppi esteri. Già in passato le nostre banche sono state oggetto di tentativi di acquisizione ostile da parte di centrali extra-nazionali. Sarebbe forse banale dire che, in realtà, tutto ciò che fa ricca e forte l’Italia non appartiene solo a chi ne ha la proprietà specifica, ma a tutti gli italiani. Qualcuno dovrebbe vigilare che questa ricchezza non venga svenduta o dissipata, mettendo a rischio l’avvenire dell’Italia stessa. Per questo tutti gli altri (Inghilterra, Francia, Germania, Russia o Cina) hanno “la politica”… Noi, a “quella cosa”, abbiamo rinunciato da tempo.

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