L’attacco alla Siria è l’ossessione di Obama. Ma è rimasto solo: i rischi sono altissimi
Barack Obama è sempre più deciso ad attaccare la Siria. Attende il voto del Congresso e poco gli importa che l’Onu prima e poi la Camera dei Comuni britannica abbiano posto il veto ai raid. Gli rimane soltanto Hollande che pure ha precisato che senza il voto esplicito del Congresso americano la Francia rinuncerà all’intervento.
Obama, dunque, è solo. Appoggiato dai soliti falchi, repubblicani e democratici, che non vedono l’ora di sparacchiare qua e là incuranti delle conseguenze da tutti i Paesi valutate nefaste se l’obiettivo è quello di dare ad Assad una “lezione” per fargli capire che non sta bene usare le armi chimiche contro i propri oppositori. Ma il dittatore siriano crediamo che delle pratiche di bon ton militare se ne freghi altamente e, forse, non sta aspettando altro che da qualche portaerei nel Mediterraneo arrivi sul Palazzo presidenziale, dal quale lui e la sua famiglia sono già lontani, un missile che faccia strage di civili ed anche di ribelli, tanto per dare ai jihadisti e ad Al Qaeda in particolare il pretesto per poter lanciare un ben più micidiale attacco terroristico contro l’Occidente e soprattutto contro l’Europa ritenuta più vulnerabile.
Debole è stata la perorazione di Obama, oltretutto, al fine di ottenere da deputati e senatori americani il via libera alle operazioni. “Non è l’Iraq, non è l’Afghanistan – ha detto. Stiamo parlando di un raid limitato, proporzionato, che è un messaggio non solo ad Assad, ma anche ad altri che potrebbero pensare di usare armi chimiche anche in futuro. Sono convinto che dovremmo attaccare, ma credo che saremo più forti se agiamo insieme, uniti come nazione”.
E’ stupefacente come il presidente americano – premio Nobel per la Pace a pochi mesi dal suo primo insediamento (rimane un mistero!) – si sia rivelato così guerrafondaio oltretutto senza valutare che un attacco alla Siria, privato dello scopo di deporre Assad , viene ritenuto da chiunque come un mero espediente propagandistico per far tornare al centro della scena mondiale gli Stati Uniti la cui leadership mondiale è da tutti oggettivamente considerata un po’ appannata. Fosse comunque solo questa la ricaduta del disegno, si potrebbe pure essere indulgenti. Ma quando si pensa che un attacco produrrebbe inevitabilmente un “incendio” nell’area – prospettiva sulla quale concordano tutti gli analisti – non si può che rimanere perplessi di fronte a tanto ostinata leggerezza.
E’ inevitabile che l’azione militare costringerebbe la Siria a reagire, darebbe nuovo vigore agli attentati di Hezbollah contro Israele, farebbe esplodere il Libano e metterebbe il mondo musulmano, specialmente di confessione sciita, nelle condizioni di lanciare un’altra “guerra santa” contro il “Satana” occidentale. Ne vale la pena?
Per una volta l’Italia e l’Unione europea stanno agendo saggiamente tenendosi lontane dai venti di guerra che spirano da Washington. Potrebbero fare di più. Prendendo, per esempio, un’iniziativa politico-diplomatica al fine di interporsi tra le parti allo scopo di far cessare le ostilità in Siria. Ardita ambizione, si dirà. Tuttavia una strada diversa dall’opzione militare va trovata, coinvolgendo magari proprio quei governi che sostengono Assad in modo da creare una linea di faglia tra il regime ed i ribelli che non sono migliori dei loro carnefici: basta ricordare che nelle loro mani vi sono ostaggi dei quali non si sa più nulla da mesi, compresi due italiani.