L’autoaffondamento del grillismo segna la fine di un’indignazione senza sbocchi politici
L’implosione del “grillismo” è nei fatti. La riunione dei senatori che ha sancito la spaccatura del gruppo, con la minaccia di una ventina di loro di aderire al Pd, sancisce la crisi profonda e, crediamo, irreversibile del Movimento Cinque Stelle. Troppe le contraddizioni, troppe le ambizioni, troppi gli anatemi, troppa la confusione. Troppo di tutto, insomma. E perfino per un “non-partito”, come ci tiene ad essere qualificato il gruppo di Grillo, sembra eccessivo il turbinio di ipotesi, tendenze, parossistiche soggettività che dominano la scena da quando è apparso alla ribalta parlamentare immediatamente affollata di dissidenti, espulsi, criticati, messi ai margini dell’organizzazione.
Anche un partito “liquido” deve darsi, se vuole agire politicamente, un minimo di ordine. Invece quello che regna dalle parti dei grillini è il disordine istituzionalizzato, la disobbedienza programmata, l’insulto come abitudine. E, quel che è peggio, il tutto sembra quasi sempre indirizzato contro la dirigenza, ovvero i capi storici Grillo e Casaleggio.
E’ di tutta evidenza, come ha messo in luce la riunione drammatica dei senatori pentastellati, che di questo passo il Movimento finirà per decomporsi. Una linea politica, per quanto eccentrica pur ci vuole: ma chi l’ha vista finora? Si va dal radicalismo più estremo all’attrazione per il compromesso con il Pd se non all’alleanza tout court; dalle battaglie anarcoidi come quella contro al Tav a proposte insensate tipo il mantenimento in vita del Porcellum al fine di andare a votare al più presto. E poi, votare, perché?
Ecco, dal blog di Grillo non s’è capito. Con gli assetti attuali il Movimento difficilmente ripeterebbe la performance del febbraio scorso. E se crede che le contraddizioni del Pd e la crisi del Pdl possano agevolarlo hanno fatto male i conti. Perfino gli elettori che l’hanno premiato alle politiche sono in buona parte stufi di un’antipolitica che in una prima fase si è perduta nell’estenuante diatriba sugli scontrini, i rimborsi e l’indennità; nella seconda sul posizionamento politico-parlamentare del M5S senza trovare, almeno per ora, una via d’uscita.
Mentre c’è chi pensa di far saltare il tavolo del governo aggregandosi al carro del Pd (possibilissimo al Senato qualora Berlusconi dovesse staccare la spina in seguito alla dichiarazione di decadenza), la dirigenza blocca tutto frustrando le ambizioni di quanti vorrebbero in qualche modo incidere politicamente, ma si trovano nell’impossibilità di farlo stante il divieto del guru inaccessibile e lontano che con il suo occhio telematico scruta le mosse dei suoi in uno stile orwelliano davvero molto poco democratico.
Con questa roba non si va da nessuna parte. E per quanto i sondaggi sono ancora incoraggianti, ma lontanissimi dalle percentuali di sette mesi fa, si fa strada la sensazione che il grillismo abbia imboccato una via senza ritorno costellata, tra l’altro, di incertezze, difficoltà interne, malessere da parte degli eletti e distacco dei cittadini che lo avevano scelto per mandare un segale alla politica tradizionale. Ed in che cosa si è concretizzato tale segnale? Nel “nullismo” politico assunto come linea-guida proprio da Grillo. Al quale la senatrice Enza Blundo, non le manda certo a dire. Nel corso della riunione ha affermato, senza timore di essere sconfessata o messa ai margini del movimento, come è accaduto ad altri suoi colleghi in passato: “Uno dei problemi che abbiamo individuato è il ‘grillismo’, così l’abbiamo chiamato: una rigidità paragonabile al bigottismo che impedisce di capirsi. L’aggressività, sia verbale che scritta, è dannosa”. Non è certo poco considerando che se dal movimento si espungesse proprio il grillismo non resterebbero davvero niente.
La parabola è finita. I tempi del tracollo saranno piuttosto lunghi, forse coincideranno con la durata della legislatura. Ma è chiaro che un “non-partito” che vuol competere solo con le chiacchiere, appoggiando la sua propaganda sull’indubbia insoddisfazione degli elettori e sulla rabbia che cova nelle pieghe della società italiana, senza nel contempo articolare una proposta credibile e praticabile, è destinato all’estinzione. Processo che è già iniziato. E sembra irreversibile.