Monti “interprete” del popolo di centrodestra? Macché, al massimo può “tradurre” la Merkel
Ci riprova. E lo fa in modo goffo, lasciando intendere che è lui l’uomo nuovo, il protagonista dell’8 settembre della politica italiana, che senza di lui ci sarebbe stato – e ci sarebbe – il diluvio. Si vanta di aver trucidato il Cavaliere nero (dove? quando?) e decide di parlare al «mondo di centrodestra», come se fosse il predestinato al trono della leadership, un profondo conoscitore di quel popolo. A suo avviso ha le carte in regola per rivolgersi agli elettori del Pdl e dei suoi alleati, perché li ha «liberati» da chi fino ad oggi li ha rappresentati, e cioè Berlusconi. Che, a suo dire, «non incarna i valori civici tradizionali a cui il centrodestra si riferisce». Il leader di Scelta civica fa il passo più lungo della gamba perché è il meno titolato a decidere quali siano i valori del centrodestra, la sua politica, la sua natura. E soprattutto è il meno indicato a proporsi sia come simbolo sia come interprete. Forse gli sfugge che uno degli elementi fondamentali della cultura politica di destra è affondare le radici nel sociale, e questo è l’esatto contrario di quanto Monti ha fatto durante la pessima stagione del suo governo e di quanto ancora oggi propone. Stangare, tassare, opporsi alla cancellazione dell’Imu, fare una riforma delle pensioni non curandosi degli esodati è roba da alta finanza, da capitalismo spinto all’ennesima potenza e non certo di un governo di centrodestra. Anche sulla figura del Cavaliere è il meno titolato a parlare, lasci che ne parlino gli altri anche per una questione di decenza, visto che è stato lo strumento di un golpe istituzionale che grida ancora vendetta. Ma la sfacciataggine di Monti si spinge oltre: nonostante il tracollo avuto nelle urne, una sconfitta che avrebbe dovuto indurlo quantomeno a dimettersi da senatore a vita, trova il modo di cantare vittoria: «Berlusconi dev’essere sconfitto politicamente e noi nel nostro piccolo lo abbiamo fatto perché senza i tre milioni di voti di Scelta civica la coalizione di Berlusconi avrebbe vinto e il Cavaliere sarebbe presidente della Repubblica o del Consiglio». La sua missione, quindi, è stata quella di impedire la vittoria netta del centrodestra, anche a costo di consegnare l’Italia nelle mani dei vendoliani e dei grillini, dopo averla messa nelle mani della Merkel. Poi, da furbetto della politica, aggiunge: «Non voglio posizionare il partito da una parte o dall’altra». In una parola, stop al bipolarismo. Che invece, secondo Maurizio Gasparri, «non va accantonato, tutti gli altri tentativi sono falliti. Come, ad esempio, quello di Monti, che ha creato una proposta diversa. Ma quel tentativo, che doveva avere sulla carta il venti per cento di consensi, è fallito e non si sa nemmeno che fine ha fatto il cane di Monti. Le leadership politiche non si inventano. Quello di Monti è stato un tentativo poderoso che è fallito». Già, di Monti si erano perse le tracce e non si parlava più nemmeno del suo cane. E lui ha pensato come ritornare sul palcoscenico: facendo l’interprete del popolo di centrodestra. Altro tentativo fallito: al massimo fa l’interprete dei banchieri.