Piaccia o non piaccia, il videomessaggio di Berlusconi apre una nuova stagione politica
Il videomessaggio di Berlusconi, piaccia o non piaccia, non può essere letto superficialmente come lo sfogo di un condannato o come un ennesimo spot elettorale. Costituisce un punto di svolta nella politica italiana perché spalanca le porte a un dibattito intenso che investe il centrodestra – chiamato a una ricostruzione vera, che possa coagulare tutte le anime, quelle sociali e quelle liberali, senza perdita di identità – e gran parte della sinistra, che non può più affidarsi agli slogan, ai giaguari più o meno smacchiati o ai partiti da asfaltare. C’è una frattura all’interno del Paese che è diversa da quella auspicata dal Pd (il derby tra innocentisti e colpevolisti, utile solo a chi vuol ridurre il confronto ai guai giudiziari del Cavaliere). La frattura è tra chi vuol continuare con la politica urlata (non sono solo i grillini), con l’antiberlusconismo come fede politica e con l’ideologismo che lega parte della magistratura con parte della sinistra; e chi vuole invece giocare la partita in campo neutro, in modo leale, senza pregiudizi e senza il rischio di beccarsi gavettoni com’è accaduto a Violante. Berlusconi riparte da Forza Italia cambiandone la natura ma recuperando l’entusiasmo della stagione del debutto, un contenitore più ampio rispetto al passato perché frutto di vent’anni di esperienza politica e di evoluzione contenutistica. Nello stesso tempo e come conseguenza, si apre un parallelo “cantiere” a destra per offrire una proposta nel solco di un patrimonio politico da rilanciare. Il tutto permette di scrivere un’altra pagina della storia contemporanea, molto al di sopra dei nani e ballerini che – persino in quest’occasione – si sono distinti per la loro povertà di idee, a cominciare da chi ha fatto polemica sul videomessaggio nel tentativo di non farlo mandare in onda sulle tv per finire con chi, subito dopo, ha tuonato che Berlusconi può essere denunciato perché – sempre nel videomessaggio – ha violato l’articolo 290 del Codice penale (“è punito chiunque pubblicamente vilipende la Repubblica, le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il governo o la Corte costituzionale o l’ordine giudiziario”). Per non parlare poi di Magistratura democratica, il cui leader si è precipitato a dire: «Non siamo controparte politica di nessuno e non ci mettiamo a ribattere alle dichiarazioni di un condannato», dove in quel termine dispregiativo «condannato» si legge per intero il pregiudizio nei confronti del Cav. Tutto questo rende chiari alcuni elementi: da una parte c’è un centrodestra che rinasce a mo’ di Araba fenice e ci sono alcune fette della sinistra che antepongono gli interessi del Paese agli interessi del partito. Dall’altra ci sono gli irriducibili del muro contro muro. Ma, alla lunga, la ragione vince sempre sulla violenza, anche se la violenza è solo verbale.