Sentenza choc per Saviano, dovrà risarcire 60mila euro: «Ha copiato dai giornali alcuni pezzi di Gomorra»

21 Set 2013 20:33 - di Luca Maurelli

La linea difensiva è un po’ quella adottata dal tanto odiato Berlusconi quando è finito nel tritacarne giudiziario per aver evaso “una percentuale minima di tasse rispetto alle valanghe di denaro che ho versato nelle casse dell’Erario”. Roberto Saviano, condannato per aver copiato alcuni articoli inseriti nel suo bestseller “Gomorra”, si giustifica parlando di “sole due pagine su 331, lo 0.6% del mio romanzo…”. Sta di fatto che per la prima volta il cocco della sinistra letteraria (piegatosi, purtroppo, a un ruolo ingrato di testimonial politico di una parte) ha dovuto incassare un pesante ko nelle aule dei tribunali, con una sentenza dolorosa: plagio di alcuni articoli dagli stessi giornali che lui pubblicamente aveva denunciato come “sponda” mediatica dei clan camorristici del Casertano.  In pratica, secondo i giudici, Saviano ha utilizzato come fonte proprio quei giornali che lui considera megafoni dei clan contro cui da anni si batte con coraggio. «Riproduzione abusiva e mancata citazione della fonte per tre articoli», è il succo della sentenza – pubblicata dal portale giornalistico fanpage.it –  con cui la Corte d’Appello di Napoli, sezione specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale, ha condannato lo scrittore e la casa editrice Mondadori al risarcimento di 60mila euro per plagio ai danni di “Cronache di Napoli” e “Corriere di Caserta”. In più, nelle edizioni di “Gomorra” dovrà essere indicato il nome dell’autore degli articoli, dell’editore – la Libra Editrice scarl– e della testata da cui sono stati tratti.

Lo scrittore ha già annunciato pubblicamente che ricorrerà in Cassazione contro la sentenza d’Appello, dopo aver provato a spiegare su Fb, in termini sulfurei, cos’è accaduto in tribunale. «Ho sempre cercato fonti e notizie ovunque le trovassi. Ho sempre voluto come prima cosa accertarmi che quanto stessi raccontando fosse vero, provato, verificato. Il Tribunale, nella sentenza di primo grado, ha rigettato le loro accuse, condannandoli anzi al risarcimento di danni: hanno loro “abusivamente riprodotto” due miei articoli. Naturalmente hanno fatto ricorso in Appello e la loro condanna è stata confermata. I giudici hanno poi ritenuto che due passaggi del mio libro avrebbero come fonte due articoli dei quotidiani di Libra. Neanche due pagine su un totale di 331. Ricorrerò in Cassazione. Anche se si tratta dello 0,6% del mio libro, non voglio che nulla mi leghi a questi giornali: difenderò il mio lavoro e i sacrifici che ha comportato per me e per le persone a me vicine», ha scritto Saviano, tuffandosi nel consenso plebiscitario dei suoi fans. Ma quella sentenza brucia e in parte fa giustizia del lavoro di colleghi ingiustamente accusati di connivenze con la camorra. E magari convincerà Saviano a un sussulto di umiltà, quella che il carrozzone mediatico e politico gli ha fatto perdere di vista con sommo dispiacere di chi, a ogni latitudine politica, lo vorrebbe nell’alveo originario – molto più credibile e utile alla causa comune – di testimonial super partes della legalità. E non di madonnina itinerante portata a spalla da politici e media con interessi molto meno nobili dei suoi.

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