Dopo Lampedusa: se l’Europa non si scuote vedremo ancora piccole bare bianche

5 Ott 2013 14:58 - di Oreste Martino

La tragedia di Lampedusa non può passare senza alcuna conseguenza, come è già accaduto altre volte. La crudezza delle immagini, l’inadeguatezza delle normative nazionali e internazionali, il dolore per la perdita di tante vite umane partite da una nostra ex colonia pagando 500 dollari a persona non possono restare senza risposte.

E le risposte non possono esser quelle degli opposti estremismi, delle chiacchiere del ministro Kyenge o della presidente della Camera Boldrini che vorrebbero aprire le porte a tutti o dei leghisti e di altri estremisti che vorrebbero chiudere l’Italia ad un fenomeno che comunque esiste.

Quanto accaduto a Lampedusa fa emergere soprattutto l’inadeguatezza dell’Europa, rigidissima e indaffarata nel controllo dei conti dei paesi membri, inesistente sulle grandi questioni politiche e demografiche. Un’Europa bendata dinanzi a un flusso di persone che recentemente il Cnel ha stimato in due milioni all’anno da qui al 2050. E mentre gli istituti di ricerca dicono che nei prossimi 36 anni arriveranno tra i 50 e i 70 milioni di persone che sfuggono da guerra, fame e siccità l’Europa sta a guardare e scarica il problema sull’Italia soltanto perché la sua conformazione geopolitica e territoriale ne fa un pontile nel Mediterraneo.

Dall’Unione europea e dagli organismi internazionali servirebbe invece un piano per evitare che ciò accada, accompagnato da forti investimenti, almeno pari ai costi di gestione del fenomeno senza controllo. L’unico piano possibile è investire per intervenire sui fenomeni che generano il flusso migratorio, far lavorare le diplomazie per mitigare i conflitti, investire in strumenti scientifici e tecnologici che combattano la desertificazione e la siccità. Aprendo poi le porte a chi può essere accolto e distribuito in tutti i paesi europei, senza esporre soltanto quelli confinanti.

Finora tutti i modelli messi in campo dagli stati nazionali hanno purtroppo fallito. In Francia ci hanno provato con l’assimilazionismo, ritenendo francese chi dalle ex colonie entrava nel paese. È finita con le rivolte nelle banlieu perché i nuovi francesi si sentivano diversi e per niente assimilati.

In gran Bretagna l’esperimento del multiculturalismo non ha dato i risultati sperati, rivelandosi velleitario e dando vita a ghetti o a mondi incapaci di comunicare tra loro.

In Italia si è alternato il lassismo assoluto che ha generato scontri sociali e problemi di ordine pubblico con la rigidità di norme che pur apparendo valide quando sono state scritte si sono rivelate inadeguate rispetto alla complessità e la vastità del fenomeno.

Ecco perché c’è da sperare che le tristi immagini di Lampedusa facciano sussultare l’Europa, le ricordino di essere stato un continente di emigranti che hanno vissuto momenti tragici come quello a cui abbiamo dovuto assistere adesso in casa nostra.

Senza una politica europea il dramma delle migrazioni, degli schiavisti e delle piccole bare bianche a terra nel capannone di Lampedusa non cesserà. È per questo che il governo italiano oltre a negoziare sulla percentuale del rapporto tra deficit e Pil dovrebbe imporre un momento di riflessione comunitaria per decidere assieme come rispondere a circa 70 milioni di persone che da qui al 2050 busserà alla nostra porta.

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