Il “Magazzino 18” di Cristicchi convince Trieste. E dal 17 dicembre il musical sull’esodo degli istriani arriva a Roma
È stato successo pieno, che ha superato le polemiche della vigilia, quello dello spettacolo “Magazzino 18” al Rossetti di Trieste. Preceduto da molte critiche, lo spettacolo teatrale di Simone Cristicchi sul dramma degli esuli istriani, fiumani e dalmati si è concluso tra gli applausi. Dieci minuti di ovazioni ininterrotte. Dice il sindaco Roberto Cosolini: questo spettacolo un tempo avrebbe diviso la città, oggi la unisce. Anche chi era andato per contestare alla fine ha tenuto i fischietti in tasca e ha applaudito. «È la prima volta che la nostra storia viene detta con questa semplicità e con questa intensità assieme – dice il rappresentante degli esuli Antonio Ballarin – interpretazione magistrale, la storia è ricostruita in maniera adeguata e molto emozionante ma non solo». Cristicchi, che ha sempre rifiutato di farsi etichettare, ha chiarito più di una volta di avere solo voluto ripercorrere la tragedia di vite spezzate, evitando di portare acqua al mulino della destra o della sinistra. Critiche gli sono giunte sia da sinistra (l’Anpi lo ha accusato di voler minimizzare i crimini “fascisti”) che da destra, per l’inserimento nel copione della lettera di una bambina slovena che ricorda il padre morto nel campo di prigionia di Arbe. Furori che si sono dileguati e sciolti in commozione quando si è alzato il sipario e il “musical civile” ha potuto parlare oltre le ideologie.
Lo spettacolo sarà a Roma dal 17 dicembre alla Sala Umberto. Il racconto parte da un luogo “simbolo”: il Magazzino 18 del Porto Vecchio di Trieste. Il protagonista, ideale “Virgilio” per gli spettatori, è un umile archivista romano, spaesato e ignorante, che viene inviato dal Ministero degli Interni a Trieste, per fare l’inventario di questa enorme catasta di masserizie abbandonate e stipate alla rinfusa. Oggetti marchiati da nomi e numeri, che raccontano la tragedia di un popolo sradicato dalla propria terra. Sedie, armadi, specchiere, cassapanche, attrezzi da lavoro, libri, ritratti, quaderni di scuola, fotografie in bianco e nero. Oggetti che sembrano essere in attesa di un fantasma che li venga a prendere, perché capaci di evocare direttamente la persona cui sono appartenuti. Il giovane protagonista ne riporta alla luce la vita che vi si nasconde, scoprendone gradualmente l’esistenza, narrando in maniera cruda e schietta una delle vicende meno raccontate della storia d’Italia. Cambiando registri vocali, costumi e atmosfere musicali, Simone Cristicchi si trasforma dando vita ad ogni singolo personaggio: l’esule da Pola, il bambino di un campo profughi, la donna “rimasta” che scelse di non partire, il monfalconese che decide di andare in Jugoslavia, il prigioniero del lager comunista di Goli Otok.