Il Pdl dovrebbe ritrovare le ragioni di una visione politica per non morire d’asfissia
Ciò che sta accadendo nel Pdl ha dell’inverosimile. Per quanto sia comprensibile lo stato di agitazione, non è accettabile che il dibattito pubblico tra le due anime (soltanto due?) del partito si sia trasformato in una sordida resa dei conti tra personaggi che hanno condiviso il berlusconismo alla a alla z e mai si sono permessi di mettere in discussione l’unità del partito.
Non si capisce, a questo punto, che cosa ne sarà del movimento, come si dividerà (se si dividerà), quali le prospettive dei contendenti al di là del formale e rituale riconoscimento della leadership di Berlusconi. Soprattutto è avvolto nelle nebbie il percorso che dovrebbe intraprendere un soggetto politico di centrodestra, la cui ispirazione dovrebbe essere liberal-conservatrice, per poter competere con una sinistra che, sia pur tra mille difficoltà, si sta ristrutturando in vista delle prossime elezioni quando si terranno e con la probabilità di vincerle.
Se è inevitabile che il Pdl, in procinto di diventare Forza Italia (o soltanto una parte di esso disposto a tornare all’antico), sia concentrato in questa fase sulla questione della decadenza di Berlusconi e sulla relativa possibile sfiducia al governo qualora il Cavaliere venisse “espulso” dal Senato, ciò non toglie che proprio in una delicata fase di passaggio come quella che sta vivendo, ci si attenderebbe qualcosa di più delle invettive e dei risentimenti sparsi a piene mani attraverso i mezzi di comunicazione consumando una guerra fratricida dalla quale è arduo immaginare che si possa uscire con una ricomposizione posticcia, effimera e opportunistica.
Serietà vorrebbe che una discussione politica – in altri tempi avremmo detto ideologico-culturale – si dispiegasse nel Pdl al fine di dare un senso paradossalmente perfino alla frattura evidente che si è determinata tra l’ala governativa e quella cosiddetta lealista.
Ma al punto in cui sono le cose sperarlo è francamente ingenuo. Per cui, comunque la battaglia in corso finirà, l’esito prevedibile è che tutti ne usciranno perdenti. E ciò è assolutamente disastroso in vista di un appello necessario all’elettorato di centrodestra in vista delle scadenze elettorali, terribilmente frastornato dai quotidiani battibecchi giornalistici e televisivi.
Accadono nel mondo (oltre che in Italia) cose rispetto alle quali una forza politica dovrebbe prendere posizione quotidianamente, elaborare una sua strategia interpretativa, qualificarsi come parte di una discussione pubblica sui grandi temi che attengono al governo dell’economia mondiale, al declino americano connesso all’impotenza dell’unione europea, all’emergere di potenze che nel giro di pochi anni potrebbero cambiare il volto del Pianeta, all’impoverimento generale ed alla distruzione dell’ecosistema – soltanto per fare degli esempi – ed un partito che pur aveva grandi ambizioni non produce nulla, assolutamente nulla rispetto a tutto ciò, impaludandosi in gherminelle politiciste che poco rilevano per l’elettorato di riferimento.
Constatare una tale povertà è desolante. Ed è questo il motivo per cui si è arrivati alla resa dei conti: la mancanza di una politica alta che giustificasse un movimento di raccolta delle sensibilità, dei sentimenti, delle ambizioni di un ceto dinamico e di un elettorato maggioritario nel Paese. Certo, la questione- Berlusconi non è di poco momento, ma ci si può dividere su di essa – perché alla fine così sarà valutata la scissione se mai si consumerà – tenendo sullo sfondo tutto il resto? Francamente sembra un suicidio incomprensibile.