La Kyenge sbaglia, lo “ius soli” finirebbe solo per peggiorare le cose

3 Ott 2013 19:35 - di Silvano Moffa

Globalizzazione dell’indifferenza. Aveva usato proprio questa espressione Papa Francesco, nella sua recente visita a Lampedusa, per censurare il comportamento colpevole e omissivo di chi assiste inerte a tragedie come quella, immane, che si è consumata a poche miglia dalle coste siciliane. Una strage raccapricciante. Dalle proporzioni enormi e non ancora definite, tanto è alto  il numero dei morti annegati, i cui corpi sono stati recuperati, e quello dei dispersi. Una strage di fronte alla quale bisognerebbe almeno avere il buon gusto di tacere. Al contrario, le dichiarazioni sul versante politico si affastellano e si rincorrono, nello sproloquiare stucchevole dei  professionisti del nulla. C’è chi, questa volta a sinistra, se la prende con la ministra Kyenge, rea di non aver fatto seguire alle parole (tante) i fatti.  La deputata di Sinistra  Ecologia, Celeste Costantino,  invoca azioni concrete dal ministro e ritira fuori lo Ius soli  sul quale incardinare  una nuova politica dell’immigrazione.  A parte le considerazioni di merito sul tema della cittadinanza che, per quanto ci riguarda, non coincidono per nulla con le tesi  della sinistra, ci chiediamo che cosa c’entri questa questione con la tragedia che si è consumata nelle acque del Mediterraneo.  In verità, un nesso ci sarebbe pure. Ma è un nesso che dovrebbe incutere una qualche riflessione. Se , come reclama certa sinistra, il legislatore dovesse  cedere a una idea del genere, e lasciare che la cittadinanza si ottenga automaticamente per il solo fatto che si nasca  in territorio italiano, pensano davvero questi signori che le carrette del mare non solcherebbero più il canale di Sicilia? Che il traffico degli immigrati si  bloccherebbe? Che , come d’incanto, cesserebbe  l’ immane flagello di umanità disperata e affamata che si accalca ai nostri confini? O, invece, accadrebbe il contrario? Come si fa a non capire che proprio il riconoscimento di un tale diritto, al di là , ripetiamo , di altre e  non meno decisive considerazioni  di ordine giuridico, etico e sociale su cui sorvoliamo in questa sede, finirebbe con l’ incrementare  il fenomeno migratorio nel suo complesso?  Basterebbe riflettere un tantino, per rendersi conto che i problemi da affrontare e risolvere sono di ben altro tenore. Ne citiamo un paio , che ci sembrano tra i più urgenti. Il  ministro degli Interni, Alfano, corso sul  luogo della strage, ha subito detto che bisognerà porre la questione migratoria  con forza in sede europea.  Opinione condivisa dai più. L’Europa, però, la pensa diversamente e imputa all’Italia  scarsa capacità di accoglienza e mancanza di una politica adeguata per far fronte al fenomeno. Ci piacerebbe conoscere in che modo riusciremo a ribaltare l’idea che l’Europa si è fatta di noi in questo settore.  Tanto per capirci, in Francia non ci pensano due volte a respingere  in mare  profughi e immigrati quando si avventurano verso le loro coste. Né  i nostri partner europei sono teneri con i clandestini quando riescono a perforare i controlli. Dovremmo adottare gli stessi metodi ? E che Europa  è mai questa che gioca allo scaricabarile su chi (noi) è più esposto al flusso migratorio per evidenti ragioni geografiche e di vicinanza?  La verità è che non c’è mai stata una politica europea dell’immigrazione all’altezza delle sfide con le quali il mondo sviluppato da qualche decennio  è chiamato a misurarsi. E veniamo alla seconda, non meno decisiva questione. All’alba del Duemila, il Dipartimento di demografia dell’Università “La  Sapienza”, pubblicò il rapporto “Population trendes and migratory pressare in the Europea Economic Area and the Euroo-Middle East-Africa Region”  imperniato  sul fatto che il processo di globalizzazione delle migrazioni internazionali segue quello dell’economia. L’analisi si basava opportunamente sui dati delle proiezioni demografiche che vedeva l’Europa caratterizzata da un regime di bassa fecondità e da un forte processo di  invecchiamento anche della forza lavoro, mentre i paesi dell’Emear  registravano un alto tasso di crescita naturale. Lo studio concludeva che l’Europa, nel definire i propri rapporti internazionali , e in particolare quelli relativi ai flussi migratori, non dovesse limitare l’attenzione ai paesi limitrofi europei e mediterranei; dovesse, invece,  tener conto di un’area più vasta, fino ad includere i paesi dell’Africa sub sahariana. Ciò, purtroppo, non è avvenuto. E le conseguenze sono ora  dinanzi ai nostri occhi. Con tutte le macroscopiche asimmetrie economico-sociali  e la sequela di cadaveri di poveri cristi affogati nei nostri mari. I ritardi accumulati fanno avvertire i loro effetti  devastanti e luttuosi. Al punto in cui siamo ,  secondo gli analisti diventa persino grottesco continuare a pensare che  le pur necessarie politiche di sostegno allo sviluppo economico e sociale dei paesi più poveri possano fermare la spinta migratoria. Paradossalmente, questi fattori  potrebbero accentuarla. Il rapporto degli esperti de “La Sapienza” metteva in guardia dal rischio che proprio i paesi dell’Europa ricca e sviluppata , e in particolare i suoi paesi di frontiera,  avrebbero potuto trovarsi nel tempo di fronte a un tragico dilemma, con opzioni entrambi inaccettabili: o accogliere tutti quelli che bussano alle sue porte o respingerli brutalmente. È esattamente quel che sta accadendo. Ci rifiutiamo di pensare che non ci possa essere  il modo di individuare  una terza strada rispetto alle due impraticabili. L’ennesima sconvolgente tragedia di Lampedusa, ci lancia un monito: non è più tempo di parole, né di pianti di coccodrillo. L’Italia si faccia valere a Bruxelles. Senza complessi di colpa.  Per abbattere il “globalismo dell’indifferenza”  ognuno deve fare la sua parte. A cominciare dall’Europa.

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