La sinistra e i grillini si rassegnino: il vero “rottamatore” si chiama Berlusconi
Equilibrio precario. Sì, tutto si tiene sul filo di un esile equilibrio. Come un vascello che tenta di resistere alla tempesta, ma già imbarca acqua da tutte le parti. La decisione di Berlusconi di cancellare il Pdl e far rivivere Forza Italia entrerà forse negli annali della politologia come la più stravagante e ardita delle trovate cui ci ha abituato il Cavaliere. E qui ci vorrebbe un astrologo o un mago per dirci come andrà a finire. Non siamo fra quelli che ritengono l’ex premier impazzito. Crediamo di conoscerlo abbastanza per sapere che, anche quando tutto lascia ritenere il contrario, non c’è niente che egli faccia senza aver soppesato le conseguenze dei suoi gesti e delle sue dichiarazioni. In quel misto di populismo e antipoliticità che, da quando è sceso in campo nell’agone politico, ne delinea i contorni e ne contiene la sostanza di leader carismatico, sta la chiave di lettura del suo Ego tracimante. Trascinatore, lui sì, di entusiasmi e raccoglitore di consensi, grazie al fatto di saper parlare come nessun altro sa fare, a una Italia profonda e reale, quella che a sinistra viene vista con commiserazione e una buona dose di complesso di superiorità, come fosse la canea frustrata, espressione di un popolo privo di mordente, vile e poco dignitoso. Invece, Berlusconi sa leggere nelle viscere del Paese. E se, come è accaduto di recente, per un insieme di fattori non sempre a lui favorevoli, ha visto ridursi elettoralmente la sua forza politica, ha dimostrato di essere ancora in grado di rovesciare il tavolo, sparigliare le carte e assumere un ruolo centrale sulla scena politica. Uno come Renzi, che, in cuor suo, ambirebbe ad emularlo, ma che, più si avvicina il congresso del Pd, più sembra aderire alla categoria del “vorrei, ma non posso”, rischia di farsi fregare proprio sul terreno che pure si era ritagliato, giocando con le parole ad effetto: quello della “rottamazione”. Qui se c’è uno che rottama si chiama Berlusconi. In venti anni, il Cavaliere è passato da Forza Italia alla Casa delle Libertà, dalla Casa delle Libertà al Pdl, dal Pdl, indietro tutta, per ritornare a FI. Un carosello impressionante. Che ha lasciato per strada morti (politicamente parlando) e feriti, scombussolato alleanze, frantumato opzioni e filoni culturali e politici che pure avevano avuto il loro peso nel Novecento, e avevano continuato ad esercitare una certa influenza agli albori del terzo millennio. L’annessione di An, prima, e la sua umiliazione dopo, hanno provocato la scomparsa di ogni residua, organica, unitaria rappresentanza parlamentare della destra. Quel che restava del socialismo di matrice craxiana, da Cicchitto a Sacconi, ora vivacchia tra “color che son sospesi”, in attesa che il Consiglio Nazionale del Pdl, fissato per il prossimo 8 dicembre, celebri la definitiva rottura tra “lealisti” e “governativi” . Per non parlare della componente ciellina (Formigoni, Lupi) o di quella di origine democristiana, di cui Angelino Alfano ne è alfiere. Insomma, se è un dato di fatto, come rileva sul Corriere Massimo Franco, che con la sua ultima giravolta, Berlusconi da «federatore dei moderati e protettore di stabilità, si è trasformato nel suo opposto», è proprio in quel capovolgimento , apparentemente senza senso, che va individuata la chiave di lettura. Stretto nella morsa della magistratura, angosciato dall’imminente decadenza da senatore e dal rischio che possa addirittura finire in carcere, insofferente ai giochi di Palazz , nel quale mostrano dimestichezza molti dei suoi sodali, si sente in gabbia come un leone ferito. Ma non è solo l’istinto a determinare le sue scelte. No, c’è pure il lucido calcolo di una scommessa politica da giocare su un doppio binario: quello del governo e quello del ricorso alle urne. Sul primo, Berlusconi ha ,al momento, scarso interesse a far deragliare il treno dell’ esecutivo. Ragioni imprenditoriali e ragioni politiche lo trattengono. Sa che l’Europa , e non solo la UE, non gli perdonerebbero una azione del genere e gliela farebbero pagare (ci sono precedenti assai chiari in tal senso). Allo stesso tempo, sa che non può lasciare ai grillini spazi di opposizione nei confronti di un governo che, fin qui, non ha fatto nessuna delle riforme attese, né ha mostrato coraggio in campo economico e finanziario. I due aspetti , per uno come Berlusconi, possono mescolarsi. E qui sta lo snodo del ragionamento. Mescolarli, significa lasciare aperti entrambi gli scenari. In fondo, le uniche elezioni certe sono quelle europee della prossima primavera. Lì si voterà con il sistema proporzionale. Senza vincolo di coalizione. Quanto di più congeniale per ritagliarsi uno spazio di più forte tono agonistico per rappresentare una forza politica non succube di Berlino e pronta a mettere in discussione Maastricht , l’euro e tutto quel che ne consegue. Tutti i sondaggi indicano una crescente disaffezione nei confronti di Bruxelles e della Merkel. Ciò vale per molte popolazioni europee, a cominciare dalla Francia, dove il successo di Marine Le Pen è dovuto in gran parte alla sua radicalità nei confronti delle politiche della UE; ciò vale anche per l’Italia. Basta parlare con la gente comune per rendersi conto di quanto cresca il malumore nei confronti di questa Europa, autentica matrigna tecno-finanziaria, priva di anima politica e sociale. Così, nella mente del Cavaliere torna a farsi largo la suggestiva idea di poter polarizzare lo scontro. Non più soltanto sul tema della giustizia, ma anche su quello ancor più decisivo per il futuro dell’Italia: il tema della sovranità negata, delle imposizioni fiscali dettate dalla Germania, della costrizione di una crisi che morde terribilmente famiglie e imprese. Se questo è il succo del ragionamento che sovrasta la rottura nel Pdl, resta da chiedersi che fine ne sarà del centrodestra. Risposta semplice. Il centrodestra è finito da un pezzo. Soltanto gli orbi non se ne erano accorti. Resta la speranza che, dopo le fasi di decomposizione e scomposizione, si torni a costruire, a ricomporre il fronte.