Lampedusa. Dopo l’ennesima strage, risposte retoriche e strumentalizzazioni politiche

4 Ott 2013 14:43 - di Marcello De Angelis

L’organismo della nazioni Unite che si occupa dei rifugiati e per cui lavorava la Boldrini assicura che l’atteggiamento degli italiani nei confronti dei profughi non era buono ma adesso è eccellente grazie alla Boldrini stessa e a Kyenge. Un miracoloso cambiamento, considerando che le due signore sono in sella da appena sei mesi… Quasi tutti – e quel che più colpisce è Napolitano – addebitano la colpa della strage alla legge Bossi-Fini. Nella migliore delle ipotesi vuol dire che nessuno l’ha letta, perché veramente in quella legge non c’è nulla che possa essere collegato ad un massacro che si protrae dagli anni Novanta.

La legge è del 2002 e interviene su un’emergenza già esplosa. All’inizio nata dal flusso di immigrazione illegale che proveniva dai Balcani. Anche allora al centro della tratta c’erano fantomatici quanto feroci “scafisti”, che anche allora gestivano il racket illegale senza scrupoli. Ma già da allora l’autostrada della morte era la rotta dalle coste libiche alla Sicilia. Dal ’94 sono più di 6800 i morti affogati (secondo Fortress Europe). Eppure nessuno è potuto intervenire per frenare l’infame commercio. Nelle concioni televisive si assicura che responsabile della strage è “l’indifferenza”, scaricando su tutte le brave persone italiane il senso di colpa e il dubbio di non aver fatto abbastanza. Si tratta di una cortina di fumo e di un orribile scaricabarile perché, come in qualsiasi altro contesto, la colpa è della mancata applicazione di regole che esistono ma per cattiva coscienza o ideologia non vengono applicate.

I limiti di velocità, il codice della strada, le leggi sulla sicurezza stradale, seppur punitive esistono per ridurre il numero di vittime che, purtroppo, resta enorme. Lo stesso vale per questi viaggi della morte. Tutti sanno, ma tutti girano la testa da un’altra parte. Quindi la colpa non sarebbe di chi infrange le leggi, ma di chi le fa o di chi vuol farle rispettare. Esiste un accordo che l’Italia aveva fatto con la Libia per bloccare il traffico alla fonte: non far partire navi non in grado di navigare, prive di omologazione, equipaggio qualificato e permessi. L’accordo è stato attaccato politicamente e boicottato. E nessuno si chiede come questi poveracci siano arrivati dal Corno d’Africa alle coste del Mediterraneo senza controlli. Tutti sanno che esiste un sistema di controllo satellitare Nato (a cui abbiamo accesso) in grado di identificare ogni naviglio che si muove nel Mediterraneo, catalogarlo, monitorarlo e seguirne la rotta. Tutti sanno che gli scafisti usano barche che cadono a pezzi per aggirare le leggi che impongono la verifica all’ingresso delle acque territoriali e il rinvio al porto d’origine in caso di irregolarità. Tutti sanno che gli scafisti provocano l’affondamento quando sono in vista della costa per trasformare de facto i clandestini in naufraghi aggirando le leggi e facendo leva sul diritto marittimo internazionale che giustamente impone il soccorso ai navigli in difficoltà e il recupero dei passeggeri. Il problema, che si fa finta di ignorare, è che le difficoltà e il pericolo di m orte sono programmati e messi in atto criminalmente. Ciò che espone le vittime alla morte orrenda in mare non sono i limiti di accoglienza – che purtroppo riguarda solo i vivi una volta arrivati a terra – ma il fatto che non si sia stroncato un traffico di esseri umani che arricchisce le organizzazioni criminali da due decenni. Tutto il resto è sciacallaggio e ipocrisia. I morti non risuscitano con le chiacchiere. Le stragi si prevengono.

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