Monti, un leader mai nato, ridotto all’irrilevanza da chi doveva aiutarlo a “scalare” il Pdl
Volevano metterlo in mezzo, ma non al centro. Mario Monti, sia pure con qualche deprecabile ritardo, se n’è accorto ed ha mollato la sua scialuppa. La tenaglia centrista, insomma, si è stretta a tal punto che per non soffocare ha preferito abbandonare.
Non essendo un combattente, il senatore a vita la scelto la strada più comoda e da possibile (quasi immaginario) “federatore” del centrodestra, quale appariva in qualche modo soltanto un anno fa, precisamente nel dicembre 2012 a ridosso dello scioglimento delle Camere, si è ritrovato rottamatore del suo partitino, Scelta civica. Un movimento, chiamiamolo così, improvvisato e velleitario la cui sostanziale inconsistenza, colui che si presentava come salvatore della Patria, ha saggiato alle elezioni del febbraio scorso quando è stato bocciato dagli elettori moderati che immaginava di acchiappare all’insegna di un antiberlusconismo poco credibile e perfino autolesionista dal momento che i voti che immaginava di prendere dovevano essere sottratti al Pdl, qualificandosi come il portavoce in Italia di quell’Europa tutt’altro che amata dalle nostre parti, come altrove.
Monti, in effetti, immaginava di appropriarsi di quel partito, il Pdl appunto, del quale aveva ritenuto di potersi servire per la sua ascesa, al quale tuttavia, complici i suoi compagni di viaggio, dissimili in tutto tra di loro, e legati da un furioso pregiudizio antiberlusconiano, non è riuscito a scucire neppure un consenso.
Casini e Alfano hanno fatto il resto. Il primo restituendogli i calci negli stinchi che Monti diede all’Udc vietando addirittura alcune candidature eccellenti di quel partito; il secondo per essersi visto respinto quando immaginava un allargamento del centrodestra con l’ausilio del Professore. Adesso i due ex-democristiani non hanno più bisogno di Monti e, nei fatti, ancorché non conclamati, hanno lanciato un’Opa su Scelta civica raccolta dai settori cattolici del partito che hanno profittato della legge di Stabilità per mettere alle corde il loro mentore che si è trovato in minoranza nel suo stesso gruppo, stretto tra i moderati appunto non alieni da entrare a far parte di una combinazione che preveda un nuovo centrodestra ed i “laici” provenienti da sinistra, come Ichino e Romano.
Insomma, resosi conto di non contare più nulla, a Monti non è rimasto altro che lasciare la sua creatura e rifugiarsi nel gruppo misto. Forse è la prima volta che accade una cosa del genere. E, a dirla tutta, era piuttosto prevedibile. In fondo il senatore a vita non ha rappresentato altro che se stesso; le combinazioni complesse non reggono alla prova dei fatti; nessuno di quanti ha raccolto nel velleitario progetto elettorale che non è riuscito a diventare “politico” lo ha mai amato come si può amare un leader e giorno dopo giorno l’insofferenza tra lui ed i suoi parlamentari è cresciuta fino al punto di rottura di ieri.
Monti ha gettato al vento l’occasione per qualificarsi e farsi ricordare come uomo al di sopra delle parti; la sua vanità politica lo ha letteralmente travolto. E non avendo il quid del leader capace di mobilitare elettori e raccogliere significativi consensi, è finito in un angolo. Voleva far fuori l’Udc ed i democristiani vari, oltre a ridimensionare Berlusconi naturalmente: è finita che tutti insieme, senza neppure faticare troppo, hanno ridotto lui all’irrilevanza più totale, un numero tra i senatori. E neppure un “numero primo”.