Nessuno sottovaluti Letta, è un “fondista”, è furbo e ha imparato la lezione andreottiana
Silvio Berlusconi, che pure negli anni ha dimostrato di aver tirato fuori grandi doti politiche, questa volta potrebbe aver sbagliato sottovalutando le capacità del Letta nipote che ha voluto a Palazzo Chigi al posto di Giuliano Amato. E la scelta fatta nei colloqui con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano probabilmente genererà nel Cavaliere un pentimento rilevante, visto che Amato si sarebbe rivelato meno pericoloso del nipote del suo braccio destro.
Enrico Letta è un “fondista”, uno di quei politici che pian piano va lontano, che si dà come obbiettivo il motto andreottiano del “tirare a campare” e che sta costruendo le condizioni per restare a lungo a Palazzo Chigi. Dopo essere stato sponsorizzato con forza da quell’Angela Merkel che oggi fa il bello e il cattivo tempo nella politica europea, ieri è giunto l’endorsement di Barak Obama, che ricevendo il nostro premier nella sala ovale della Casa Bianca ha detto di essere rimasto “impressionato” dalla “integrità” e dalla “leadership” di Letta. E, cosa non usuale, al termine del colloquio di un’ora il presidente statunitense ha invitato a pranzo il nostro presidente del Consiglio, dando un segnale chiaro sulla richiesta di stabilità e l’isolamento degli estremismi, posizione che accomuna Washington e Berlino.
Dopo aver piegato Berlusconi e la sua richiesta di voto anticipato, soprattutto grazie al lavoro di intelligence con Angelino Alfano, l’attuale premier è lanciato verso il superamento del 2014 anche grazie alla presidenza italiana del semestre europeo. Arrivati poi al 2015, con Berlusconi forse fuori gioco per motivi giudiziari e Matteo Renzi affannato dal lavorio quotidiano della struttura del Pd, l’appetito verrà mangiando e tutto lascia presagire che il duo Letta-Alfano potrebbe decidere di andare avanti per tutta la legislatura, arrivare al 2018, archiviare la vecchia politica di Berlusconi e il nuovismo di Renzi per poi dividersi e competere tra loro.
Le vecchie regole della politica italiana insegnano che non c’è nulla di più stabile degli equilibri precari, delle soluzioni temporanee e pian piano la scuola democristiana di premier e vicepremier potrebbe prolungare la legislatura fino a sterilizzare il bipolarismo muscolare, magari anche grazie ad un legge elettorale che riporti alle logiche della prima Repubblica, senza scelte da parte degli elettori, ma con maggioranze che si formano in parlamento, unendo i moderati del centrodestra e del centrosinistra ed isolando tutto ciò che resta.
Ieri a confermare questa tesi ci ha pensato anche l’iconografia della giornata. Mentre Letta era trattato con i guanti bianchi nella sala ovale il suo predecessore Mario Monti usciva di scena tristemente dalla politica attiva. Eppure pochi mesi fa era lui ad essere osannato dalla Merkel e da Obama, a riprova che la politica in tempi brevi è capace di bruciare ogni leadership. La giornata di ieri di Monti è quindi un monito per Enrico Letta, il quale, però, a differenza del Professore, ha la scuola democristiana alle spalle che gli ha insegnato a procedere a piccoli passi, conquistando per ora la proroga alla prossima primavera, poi al 2015 e infine – probabilmente – al 2018.