«Non me ne faccio nulla». E la maestra di Bologna toglie il crocefisso dall’aula…

3 Ott 2013 19:53 - di Antonella Ambrosioni

Bologna continua ad essere in prima fila nell’epurazione di ogni simbolo della nostra identità religiosa nelle scuole: niente più crocifisso sulla parete della I B della scuola elementare “Bombicci”, in centro. «La maestra prevalente di quella classe ha chiesto di rimuoverlo perché avrebbe detto di non farsene nulla», riferisce il personale della scuola. Agghiacciante. «Addirittura tutta l’elementare “Armandi Avogli”, dello stesso comprensivo, ne è priva», accusa Fabio Garagnani, ex parlamentare del Pdl, che ha informato della rimozione il ministro dell’istruzione Maria Chiara Carrozza e il vicedirettore regionale Stefano Versari. E forse presenterà anche un esposto in Procura. Sconcerta il totale clima di indifferenza che circonda queste alzate d’ingegno individuali che offendono la sensibilità delle famiglie cattoliche che in Italia, piaccia o no, sono maggioritarie. Secondo quanto riferito dall’ex parlamentare, infatti, quella croce in prima B c’era sempre stata, almeno fino a quando qualche settimana fa l’insegnante ha deciso di farla togliere. Tralasciamo per carità di patria il «non me ne faccio nulla», riferito al crocifisso, pronunciato da un’educatrice che per contratto dovrebbe spiegare certi gesti a bambini di 6 anni che magari frequentano il catechismo e potrebbero rimanere disorientati. Indigna di più il lassismo morale del preside, che ha assistito inerme ad altre rimozioni nello stesso istituto: «Ognuno si regola come ritiene opportuno», ha commentato tranquillo Stefano Mari. «È una scelta che dipende dalla sensibilità individuale del docente». Mica tanto, «la normativa in vigore, confermata da una recente sentenza del tar del Veneto, ha confermato la validità nelle scuole di quel simbolo, emblematico della nostra storia ed identità», sottolinea Garagnani. Più in generale, esiste in Italia una normativaa cui le Pubbliche Amministrazioni si devono attenere, due regolamenti, uno del 1924 e l’altro del 1928, che non sono mai stati abrogati e, di conseguenza, ancora vigenti, che stabiliscono che i simboli religiosi non possono essere rimossi arbitrariamente dai luoghi pubblici. L’ex parlamentare pidiellino ha interpellato il ministro al fine di «far rispettare la legge» e ha incoraggiato i genitori a non lasciarsi intimidire da pressioni di certi insegnanti o dirigenti scolastici ideologizzati, oltre ogni ragionevolezza. Fanno acqua da tutte le parti le motivazioni addotte dalla vicaria delle scuole “Bombicci”, Raffaella Conti: «Non alimentiamo le polemiche, siamo un istituto che ospita 1.300 alunni, abbiamo altri problemi, come il sovraffollamento». Qualcuno ci vuol forse far credere che uno che ha il problema delle classi-pollaio trova qualche  giovamento dalla rimozione del crocefisso? Altro motivo pretestuoso: «Si tratta di una classe composta da bambini di confessioni religiose diverse e l’insegnante ha ritenuto opportuno per rispetto della multiculturalità togliere il simbolo cristiano». Ma come? Dove va a finire l’essenza dell’integrazione e del dialogo? 


 

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