Occhio al Cavaliere. In caso di scissione, sarà lui l’antipolitica
Intervenendo all’assemblea di Confindustria, Enrico Letta ha parlato del suo semestre a Palazzo Chigi come di «sei mesi non banalissimi e non semplicissimi». Ha ragione, ma temiamo che siano rose e fiori rispetto a quelli che si preparano. Tutti gli indicatori segnalano infatti che la politica è ormai una maionese impazzita. Quello di cui gode (si fa per dire) il governo è un sostegno virtuale. Nella realtà la strana maggioranza non è mai stata così vicina all’implosione e non tanto per effetto della fisiologica dialettica tra i partiti che la compongono quanto soprattutto per le tensioni che ciascuno di loro – senza eccezione alcuna – registra al proprio interno.
Mario Monti è alle prese con i fuggiaschi di Scelta Civica. Dal salotto di Lucia Annunziata li ha trattati con bocconiana supponenza accusandoli di intelligenza con il berlusconismo declinante. Conosce poco i democristiani, il Professore, e forse non sa che vanno sempre in cerca di albe radiose e mai di cupi tramonti. I transfughi guidati da Casini si sono semplicemente riconvertiti al bipolarismo. Solo che il loro prevede un derby tra centro e sinistra con la destra ridotta a puro ornamento. Per realizzarlo hanno bisogno di spaccare un Pdl già avviato di suo sulla strada della scissione. Nel Pd prossimo ad incoronare Renzi, invece, le fibrillazioni nascono dagli ex-ds poco propensi a vedersi archiviati dalla diarchia ex-dc che oltre al sindaco di Firenze vede la presenza dello stesso Letta. Qui, però, più che le identità c’entra il banco. Bersani e compagni possono mollare le poltrone del governo, non la ditta del partito. Una delle due caselle, quest’ultima appunto, deve restare nella loro disponibilità. Ma ad incombere come un macigno resta il dossier Berlusconi.
Svanita in poco più di quarantott’ore l’illusione di separare la vita del governo dal destino del Cavaliere, la situazione è tornata a complicarsi come non mai. Dato per scontato che non tutti nel Pdl condividono la tesi secondo cui se decade Berlusconi cade il governo, quel che occorre capire è se la maggioranza parlamentare resisterà all’approvazione della legge di Stabilità. La batteria di dichiarazioni critiche da parte dei cosiddetti lealisti nei confronti della manovra lascia capire che se rottura ha da essere, avverrà lì, cioè sul tema delle tasse, sull’Irpef che ritorna sulle seconde case, sulla beffa ai pensionati e così via. Un pericolo immediatamente fiutato da Angelino Alfano, non a caso il più lesto a chiedere di rinserrare le fila intorno a Berlusconi dopo la sentenza di ricalcolo della pena accessoria che la Corte d’Appello di Milano ha fatto scendere da cinque a due anni. Peccato per lui che altre “colombe”, altrettanto prodighe di attestati di fede nei confronti del leader, abbiano però sentito il bisogno di precisare che in ogni caso non sarà il governo a risentirne. E qui si ritorna alla casella di partenza, cioè al drammatico voto del 2 ottobre annunciato da un recalcitrante Berlusconi che un minuto dopo aver rinnovato la fiducia a Letta si è visto da questi degradato a semplice partner aggiuntivo della maggioranza. Una sottolineatura imprudente, frutto della probabile sopravvalutazione della determinazione delle “colombe” ad affrancarsi dal leader. Da allora non sono passate che poche settimane ma ora è tutto da dimostrare che uno strappo sul governo lascerebbe il Cavaliere in braghe di tela. Oggi i rapporti di forza interni gli sono chiari e sa chi è disposto a seguirlo sulla crisi di governo e chi no. Come ovviamente sa che nel caso vi optasse, la frattura nel centrodestra potrebbe farsi insanabile.
Rompere sulla legge di Stabilità equivale infatti a compiere una netta scelta di campo. Berlusconi sventolerebbe temi di largo impatto popolare, più o meno gli stessi che oggi gonfiano le vele di tutti i movimenti fortemente critici verso le istituzioni comunitarie a cominciare dall’euro. In poche parole, il Cavaliere non si collocherebbe semplicemente all’opposizione, ma passerebbe ad occupare lo spazio “antipolitico” oggi presidiato da Grillo. Del resto, è proprio lì che si è rifugiata una quota non trascurabile del suo elettorato. Andrebbe solo a riprenderseli. Letta ed Alfano sono avvertiti.