Pdl: se conta ha da essere, che contino anche le idee
Sarà senz’altro vero che sono giorni tristi per Berlusconi ma nessuno mai riuscirà a toglierci dalla mente che sulla vicenda interna al Pdl se la stia godendo da matti. E non a torto. Da quando ha rarefatto la sua presenza politica per le note ragioni, il suo partito ha preso a barcollare come un vecchio ubriaco capace di tenersi in piedi solo appoggiandosi ai lampioni. Il lampione del Pdl si chiama Berlusconi. È solo in suo nome, infatti, che falchi, colombe, pitonesse e lealisti riescono a ritagliarsi uno spazio di condivisione e di unità. Se di mezzo non ci fosse il Cavaliere, starebbero ai materassi già da un pezzo.
La situazione sembra davvero senza via d’uscita: Alfano e i suoi – che proprio in queste ore hanno rivendicato in una conferenza stampa i risultati da essi ottenuti nel governo – insistono nel valorizzare l’endorsement di Berlusconi in favore di Letta. Votando la fiducia al governo – è il loro ragionamento – il leader ha adottato la nostra linea. Che è risultata vincente mentre chi – come Verdini e Santanché – sosteneva la necessita di staccare la spina all’esecutivo ha perso. Davvero non fa una grinza anche perché è stato Berlusconi in persona a pronunciare l’intervento in Senato.
E che le sedicenti colombe siano in vantaggio lo conferma il fatto che ora i cosiddetti falchi hanno preso a nidificare sotto il tetto dei lealisti guidati da Fitto il quale, con sagacia tutta democristiana, non solo non si oppone al progetto di affrancamento del Pdl dal carisma del Cavaliere prudentemente perseguito da Alfano, ma addirittura lo adotta per portarlo alle sue estreme conseguenze: azzeramento di tutte le cariche, e via libera ad un congresso che elegga i nuovi organi.
È difficile azzardare una previsione. I meccanismi privi di flessibilità si spaccano. E il Pdl tutto carisma e refrattarietà a qualsivoglia forma di confronto interno vi sembra fatalmente avviato. Ma per quanto possa sembrare paradossale, non è questo il peggiore dei guai. Il problema è che tutto appare maledettamente fuori tempo massimo. Vero è che i sondaggi sono ancora al di sopra del livello di allarme, ma non va dimenticato che a febbraio il Pdl ha perso oltre 6 milioni di voti e che solo tre mesi dopo ha subìto uno strike micidiale ai ballottaggi. Una perdita secca perché nessuna formazione alleata ha saputo intercettare quei voti.
E sarà ancora peggio se il confronto interno resterà bloccato sugli organigrammi. Fitto chiede il congresso per scalzare Alfano, che invece vuole le primarie per essere incoronato leader. Va tutto bene, a patto però che a queste posizioni siano correlate tesi politiche, progetti, valori e non solo poltrone. Una sana battaglia interna non rappresenta un esito da scongiurare ad ogni costo in nome di una posticcia unità. Anzi, può essere addirittura feconda se combattuta a colpi di idee. Finora non è stato così. Finora il Pdl è stato la quintessenza del conformismo e dell’opportunismo, due impostori dei quali è difficile disfarsi quando in un partito s’impone la logica della corte. Non regge più.
Del resto, che sia tempo di cambiare lo ha fatto capire proprio Berlusconi quando davanti alle telecamere a detto chiaro e tondo che a lui gli yesmen non sono mai piaciuti. Il dibattito interno è finalmente sdoganato. E ora vinca il migliore, sembra incitare il Cavaliere. Forse solo perché sa che il migliore resta lui.