Se i sondaggi fossero quotazioni in borsa saremmo tutti ricchi

7 Ott 2013 12:31 - di Marcello De Angelis

C’era qualcuno molto intelligente – e ovviamente non ne ricordo il nome – che diceva che il mestiere del giornalista doveva essere raccontare quello che succedeva adesso, non fare analisi, raccontare retroscena o ipotizzare eventi futuri. Queste tre attività andavano lasciate, nell’ordine, ai medici, ai romanzieri e agli astrologi. Ma ora tutto è superato dal “sondaggio”. Il sondaggio, come tutti sanno, non ha pretese scientifiche eppure tutti ne danno i risultati per veri. Per essere più certi i sondaggi si “incrociano”, come se tre bugie facessero una verità o due errori un’esattezza. I sondaggi possono avere un senso come strumento di marketing commerciale, quando si fa tra i consumatori per sapere se preferiscono il pomodoro in cartone o in lattina, perché, sulla base di ciò che rispondono i clienti del supermercato (e non persone qualunque che chiami a casa e magari sono allergiche al pomodoro) il gestore cambia l’offerta per vendere di più. I sondaggi politici fino a qualche tempo fa erano solo elettorali, cioè  sondavano “l’orientamento di voto”, il che poteva anche avere un senso. Seppur relativo, perché non si capisce che senso debba avere sapere il giorno prima come potranno andare le elezioni quando basta aspettare il giorno dopo e saperlo con certezza. Ma la società tende a favorire gli esercizi vacui e creare dipendenze e manie ossessivo-compulsive, così ora i sondaggi elettorali si fanno tutti i giorni o quasi, anche se non ci sono elezioni in arrivo. Sulla falsa riga delle quotazioni borsistiche, le intenzioni vengono lette come se rappresentassero il mutamento di valore delle azioni di una società. Un gioco di società che sarebbe divertente se i cronisti non sembrassero prenderlo così sul serio da farci i titoli di prima pagina. Se uno potesse vendere o acquistare le azioni di un partito su qualche mercato borsistico l’ossessione dei sondaggi avrebbe senso. A meno che, e il sospetto viene legittimo, non ci sia qualcuno, in qualche ufficio prestigioso, che lo faccia sul serio, spostando i propri “investimenti” su un partito o l’altro a secondo delle convenienze. Ma questo è fare dietrologia e cospirazionismo. E quindi non è mestiere di giornalista.

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