Una mostra celebra la figura di Ermanno Stradelli, l’esploratore dell’Amazzonia che studiò la vita e le leggende degli Indios
È in corso di svolgimento presso la Galleria Portinari dell’Ambrasciata del Brasile in piazza Navona a Roma una mostra fotografica dedicata all’esploratore, geografo, etnografo italiano dell’Amazzonia, Ermanno Stradelli. Ma chi era Ermanno Stradelli, figura praticamente sconosciuta qui in Italia, suo paese di origine? A riscoprire la sua figura era stato lo storico e antropologo brasiliano Luís da Câmara Cascudo, che nel 1936 gli dedicò uno studio intitolato “Em Memoria de Stradelli”. Per questo omaggio il governo italiano, attento a quell’epoca alla valorizzazione dell’operato degli italiani nel mondo, fece assegnare allo studioso brasiliano il titolo di Cavaliere della Corona.
Câmara Cascudo, forse il più grande studioso delle leggende e del folclore del paese tropicale, era rimasto colpito dalla lettura del vocabolario «lingua generale degli indios-portoghese» uscito postumo nel 1929, per la mole e l’accuratezza dei dati raccolti, nonché per la capacità dell’italiano di entrare in sintonia con il mondo della foresta amazzonica. «Stradelli – scrive – non è un esploratore, non è un commerciante. È un innamorato. Non è soltanto un geografo, un naturalista, un botanico, un classificatore paziente, minuzioso, disciplinato. È un entusiasta, un sedotto, un viandante apprendista, che vuole vedere, comprendere e amare tutto».
Nato nel 1852 a Borgotaro (Parma) in una famiglia nobile da cui eredita il titolo di conte, il giovane Stradelli studia nel collegio Santa Caterina di Pisa, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di quell’ateneo ma ben presto si dedica per conto proprio a studi di etnologia, topografia, farmacologia e omeopatia, botanica e zoologia, fotografia, portoghese e spagnolo, tutto quanto cioè gli è necessario per realizzare il suo sogno di diventare esploratore e geografo. Fin da ragazzo, scrive il suo biografo brasiliano, «le sue letture predilette sono le narrazioni di viaggi, che gli evocavano lotte, misteri, la valentia fisica, lo stupore delle foreste vergini, dei deserti silenziosi, degli indio incomprensibili, degli animali favolosi».
Nel 1879, a sue spese, parte per il Brasile, destinazione la città di Manaus, capitale dell’Amazzonia che diventa la base delle sue spedizioni nell’immenso territorio tropicale. Frequenta i missionari francescani italiani, cercando di capire come potersi relazionare con gli indigeni. Comincia ad interessarsi fin da subito alla lingua generale delle popolazioni native del bacino amazzonico, lo nheengatu. Nel luglio del 1880, navigando il Rio Amazonas, conosce il conte Alessandro Sabatini, che lo inizia allo studio della lingua indigena. Stringe amicizia con lo studioso Maximiliano José Roberto, discendente dei capi indigeni Manaos e Tariana.
Visita la regione del Vaupés, ai confini con la Colombia, una prima volta nel 1881 e di nuovo nel 1882, quando risale il Vaupés fino a Yavaraté e il Papurí fino a Piracuara. Nel febbraio 1884, prima di tornare in Italia per portare a termine rapidamente gli studi universitari, si reca a Manaus per partecipare alla cerimonia della posa della prima pietra dello splendido teatro dell’opera che sarà realizzato da una ditta italiana ed impreziosito con i marmi di Carrara.
Nel 1887 si imbarca nuovamente, stavolta per il Venezuela, con l’ambizioso proposito di individuare le sorgenti dell’Orinoco, dubitando della primogenitura di questa scoperta vantata da un esploratore francese. A Caracas viene accolto dal presidente Guzmán Blanco al quale comunica la sua intenzione di intraprendere la traversata fino al Manaus. Nel 1890 è di nuovo nel Vaupés e nel 1891 raggiunge le cascate di Yuruparí.
Redige carte geografiche, raccoglie leggende, scatta fotografie, la maggior parte delle quale sono oggi perdute. Le relazioni dei suoi viaggi sono inviate alla «Reale Società Geografica Italiana» che pubblica nel suo Bollettino le sue prime opere: «Un viaggio nell’Alto Orenoco» nel 1888, «Rio Branco» e «Dal Cucuhy a Manaos» nel 1889, «L’Uaupés e gli Uaupés», la «Leggenda dell’Jurupary» nel 1890 e «Iscrizioni indigene della regione dell’Uaupés» nel 1900.
Nel 1893 si naturalizza brasiliano, convalida il proprio titolo di studio e prende ad esercitare l’avvocatura a Manaus. Nel 1897 compie un breve viaggio in Italia con il proposito di fondare una compagnia italo-brasiliana nel settore della gomma, che in Amazzonia si estrae dall’albero di Seringueira, in grado di rompere il monopolio inglese. Ma l’ingegner Giovanni Battista Pirelli non gli dà ascolto e Stradelli ritorna subito in Amazzonia. Ottiene già nel 1895 un incarico pubblico che esercita fino al 1923 quando va in pensione e su insistenza della famiglia pensa a rimpatriare. Gli viene però diagnosticata la lebbra e vive così gli ultimi anni in un lebbrosario improvvisato nei sobborghi di Manaus in compagnia di mappe, manoscritti e ricordi, fino alla morte avvenuta nel 1926.
Stradelli era conosciuto e stimato dai nativi del Vaupés, pronto a condividere esperienze con i suoi ospiti, era tra i pochissimi bianchi cui fosse permesso percorrere liberamente la zona. Guardava con preoccupazione l’approccio che indistintamente militari, commercianti ed evangelizzatori bianchi hanno con i nativi e considerava una grave sventura la scomparsa dei popoli indigeni e l’annientamento del loro modo di vivere e interpretare il mondo.
Negli ultimi anni l’importanza dell’approccio verso l’Amazzonia dell’esploratore italiano comincia ad essere maggiormente apprezzato. Nel 2009 l’editore Martins ha pubblicato in Brasile una scelta di lavori di Stradelli intitolata «Lendas e Notas de Viagem».
L’11 aprile di ques’anno a San Paolo, nel corso di un seminario di studi stradelliani che si è svolto al Memorial da América Latina con la partecipazione di studiosi di entrambi i paesi, è stato presentato un documentario dal titolo «Ermanno Stradelli. O filho da cobra grande», realizzato dal cineasta italiano Andrea Palladino.
Negli anni Novanta il giornalista italiano Danilo Manera ha intrapreso un viaggio nella regione amazzonica percorsa da Stradelli, che ha poi raccontato nel libro «Yuruparí. I flauti dell’anaconda celeste» (Feltrinelli Traveller 1999), che contiene in appendice il testo dell’esploratore italiano. Le immagini sono state invece raccolte nel libro fotografico «Vaupés» di Graziano Bartolini (Cesena 1999).