Cuperlo rilancia la scuola di partito: al Pd servirebbe. E per gli ex-Fdg Angelilli e Marsilio l’idea non è da buttare
Partito vintage o ancorato alla vecchia e cara formazione politica? Sotto i cieli democratici il fighettismo rottamatore si scontra con la tradizione. Di Matteo Renzi si è detto e scritto di tutto con un’attenzione mediatica straripante che ha seguito il fenomeno nelle viscere dei suoi tour, nelle Leopolde, nelle impennate populiste, nelle accelerazioni clintoniane, che ha innalzato gli slogan mordi e fuggi a nuovo vangelo. Su Gianni Cuperlo, il dalemiano doc ultimo segretario della Fgci, che ha accettato per «orgoglio» la sfida impossibile contro Matteo, invece, non si va oltre l’etichetta dello snob. Forse perché parla ancora di “battaglia delle idee” che, come diceva Nietzsche, vanno “ruminate”. La prima cosa che farebbe da segretario il mite Cuperlo? Ripartirebbe – dice in un’intervista a Fabrizio Roncone – dalla formazione politica dei suoi iscritti e dei suoi dirigenti per colmare «il terrificante deficit di elaborazione» degli ultimi anni. Un trombone nostalgico delle Frattocchie? O un modello per uscire dalla moda del casting di attori, cantanti e veline da paracadutare nel Palazzo?
Colto, riservato, poco telegenico, non rincorre la piazza ma ragiona di formazione. È ancora attuale una scuola di partito che si sostituisca all’idolatria del politico naif, della osannata società civile contro la casta dei politici professionisti? Per Roberta Angelilli, oggi europarlamentare del Pdl, negli anni 80 la prima (e unica donna) a guidare il Fronte della Gioventù della capitale, Cuperlo in fondo ha ragione.«Bisogna tornare a una formazione politica vera, non ideologica e disconnessa dai cittadini e del territorio. In un momento di crisi economica e di idee come il nostro c’è una grande fame di riferimenti e identità. Colpa – dice – dell’aggressione della demagogia più miserabile che ha sostituito la circolazione di idee». Dobbiamo tutti ritrovare una capacità di ragionare, di elaborare progetti innovativi che presuppongono «incubatori di idee e di analisi su che paese vogliano, quale modello di sviliuppo, quali prospettive per i giovani, quale Europa, come ritrovare le radici di una nazione geniale e volitiva». Ma niente torcicollo, nessuna riesumazione del vecchio pantheon dato in pasto ai nuovi arrivati. E le fondazioni, i think tank che pullulano a destra, sinistra e centro? Per carità, «sostituiscono le correnti, sono autoreferenziali e non sono certo palestre per la classe dirigente». A destra il mondo giovanile dei primi anni ’90, smanioso di uscire dal ghetto e dalla nostalgia, anticipò il partito degli adulti seminando il terreno: laboratori culturali, pubblicazioni underground oltre gli steccati ideologici, case editrici autarchiche (una per tutte il Bosco e la Nave), gruppi di studio, campi di formazione. «Facendo un trasloco ho ritrovato vecchi scritti e documenti di trent’anni fa, mi ha colpito l’apertura, lo spessore, la capacità di guardare avanti di noi, quattro ragazzini, che volevano cambiare il mondo».
Tra questi Marco Marsilio, oggi dirigente di Fratelli d’Italia, un passato nel Fdg degli anni d’oro. Di fronte al deserto attuale, largo riedizione declinata al futuro della formazione politica per le giovani leve. «Le scuole di partito tradizionali, fiore all’occhiello del vecchio Pc, ma anche del mondo cattolico, non esistono più. Oggi dove si formino amministratori e futuri quadri dirigenti è un mistero, tutto è affidato al singolo autodidatta, alle iniziative sporadiche scollegate tra loro senza un disegno organico che dia una spina dorsale a chi muove i primi passi nella politica». In questa landa – aggiunge Marsilio – è facile che nasca la malapianta dell’incompetenza assurta a metodo, dei dilettanti allo sbaraglio che inciampano negli incarichi. E che, fatalmente, finiscono per essere vittime della “scuola di formazione” di poteri esterni, di gruppi organizzati che inviano nelle istituzione soggetti che rappresentano interessi particolari e non generali». A destra negli anni passati l’assenza di un scuola organica di partito veniva compensata dalla militanza giovanile, «palestra di vita, momento di formazione politica e culturale sul campo» per quei ragazzi under 30 alle prese con l’impegno civile, la polis, le istituzioni. Bisogna ripartire da lì. «Dalle giovani generazioni. E alle fondazioni, quasi tutte utilizzate come vetrine, come cenacoli con il vizio della convegnite, dico “occupatevi di produrre officine di elaborazione politica da portare in dote alle giovani leve».