Da “Bond girl” a spie sotto copertura: alla Cia tre agenti su quattro sono donne
Nella mitica saga di James Bond, tra intrighi internazionali e affaire sentimentali, per decenni al massimo alle donne è spettato il ruolo di “Bond girl”. Indimenticabili protagoniste di tanti di quei successi, le protagoniste femminili nella finzione filmica al massimo arrivavano a carpire i segreti del cuore dell’agente 007. Tanto che il pubblico si trovò spiazzato quando, a partire dal 1995, la serie cinematografica promosse Judy Dench a capo dell’M16, il Secret Intelligence Service britannico. Da Miss Moneypenny a M in gonnella ne è passata di acqua sotto i ponti… e non solo al cinema. È notizia di oggi, infatti, che la Central Intelligence Agency, la più famosa e potente agenzia di spionaggio sulla faccia terrestre, registra una scalata al vertice tutta al femminile: il gentil sesso – rivelano i dati più recenti sovvertendo abitudini gerarchiche e convenzioni interne – ha sferrato un vero e proprio assalto alla Cia. Entrate dalla porta di servizio nella cittadella dei poteri e dei segreti, regno incontrastato del machismo sotto mentite spoglie, e relegate quasi esclusivamente a ruoli amministrativi, oggi tre elementi su quattro dell’Intelligence più rinomata del globo sono donne. E donne sono cinque su otto dei dirigenti più importanti dell’agenzia federale. E pensare che solo vent’anni fa era impensabile anche solo ipotizzare la possibilità di quote rosa ai posti di comando della Cia: uno novità aziendale, quella odierna, ascrivibile in gran parte allo sdoganamento voluto e perseguito dall’attuale capo della Cia John Brennan, come dal suo predecessore generale David Petraeus, e celebrato nel corso di un recente convegno intitolato “Da dattilografe a capofila”. Così, ogni mattina alle 8,30, quando al settimo piano del quartier generale di Langley in Virginia si apre il primo briefing giornaliero dei dirigenti dello spionaggio Usa, al fianco di Brennan siedono solo graziose e agguerrite colleghe: alla sua destra il direttore esecutivo dell’Agenzia Meroe Park e alla sua sinistra il vicedirettore, Avril Haines. Di fronte è sempre presente poi il direttore delle operazioni di Intelligence, Fran Moore. E quando Breannan è in missione, è Avril a prendere la barra del timone.
Donne in carriera che hanno rivoluzionato in rosa immagine e politica dell’agenzia, che se è vero che dalla sua creazione nel 1947 ebbe più donne tra i suoi impiegati della tipica impresa Usa, è vero anche che non ha mai dato loro la possibilità di scalare la vetta e piantare la bandierina ai piani alti. Una rivoluzione rosa per cui oggi – e dati e atti del convegno lo stigmatizzano in numeri e percentuali – quasi la metà dei dipendenti dell’Agenzia sono donne. Una verità statistica suffragata anche dalle cifre relative alla qualità dei loro impieghi: il 47% degli analisti di intelligence sono donne, così come il 59% degli staff di supporto che guidano tutto, dalle comunicazioni interne alla sicurezza. Non solo: nel 2012 il 40% delle spie “undercover” sono state donne, sovvertendo una legge non scritta ma rispettata fino al quel momento: per decenni nessuna spia in gonnella era ammessa alla sezione operazioni clandestine. Niente donne sotto copertura. Niente 007 con giacca, pantalone e tacco 12. Niente affascinanti spie che sotto la muta sfoderano un fasciante abito da sera e all’open bar di un elegante albergo ordinano un Martini agitato, non mescolato. E infatti, l’indagine Usa ci dice che le “specialiste” nel 1980 erano il 9%, mentre oggi sono il 44%. Così come, sempre più frequentemente, sono donne a guidare sedi estere in zone nevralgiche e pericolose. E i successi sul terreno fioccano: a dare una caccia senza tregua al nemico numero uno degli Stati Uniti, Bin Laden, sino a scovarlo, guarda caso fu proprio la cosiddetta “banda delle sorelle”: un team di donne analiste dell’unità segreta “Alec Station”. E ancora: a stanare e catturare il terrorista di Al-Qaida Abu Musab Zarqawi in Iran fu un’altra equipe tutta rosa, capitanata da Nada Bakos, che non a caso sulla vicenda sta scrivendo un libro giustificando il segreto di tanto successo femminile in un campo notoriamente in appalto a soli uomini con un semplice argomento: «Noi donne vediamo i rischi a lungo termine. Forse perchè siamo aggressive nella protezione dei nostri figli»… Spie, si, insomma, ma guidate in missione come nella vita soprattutto da un insopprimibile istinto materno: un’arma segreta che neppure Sean Connery avrebbe potuto sferrare.