Dall’Istat e dalla Ue un doppio schiaffo a Palazzo Chigi. Per uscire dal tunnel la strada è lunga

5 Nov 2013 18:36 - di Oreste Martino

L’Istat e l’Unione europea hanno sferrato un uno-due al governo Letta sulle previsioni economiche sbandierate nelle ultime settimane. Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni aveva detto che l’Italia stava per uscire dal tunnel della crisi e che il prossimo anno era prevista una crescita economica dell’1,1%. Un timido passo avanti per recuperare i nove punti di ricchezza persi negli ultimi anni, un po’ poco rispetto ai partner europei, ma comunque un passo in avanti. In 24 ore però è arrivata la doppia doccia gelata e questa volta a contestare numeri e grafici di Letta e Saccomanni non è Renato Brunetta – che pure li contesta da sempre – ma due autorevoli soggetti quali l’Istat e la Commissione europea nel suo rapporto autunnale.

Su un dato, purtroppo, sono tutti d’accordo, confermando che il 2013 si concluderà con un calo del Pil dell’1,8%, anche se il Tesoro a primavera ipotizzava che alla fine dell’anno si fermasse all’1,7. Le divergenze riguardano il futuro, con il governo ottimista nel prevedere una crescita dell’1,1% nel 2014 mentre l’Istat e la Commissione europea parlano di un modesto 0,7. Ma è il complesso dei dati snocciolati a preoccupare. L’Ue conferma la crescita del debito pubblico italiano e lancia l’allarme, attestandolo al 133% del Pil, con la previsione che arrivi al 134% nel 2014. Il tutto mentre i nostri competitor cresceranno maggiormente avendo un debito inferiore. Basta dire che quest’anno la Germania chiude con un più 0,5 del Pil (1,2 sopra l’Italia) e la Francia con un più 0,2 (0,9 più dell’Italia).

Se a questo si aggiunge che l’anno in corso si chiuderà con un calo dei consumi dovuto all’aumento dell’Iva, una crescita dell’inflazione, la perdita del 3,4% delle importazioni, la spesa delle famiglie in flessione del 2,4% e la disoccupazione al 12,1% con una previsione ancora peggiore per il 2014 si comprende quanto sia delicata la situazione della nostra economia pubblica. Istat e Unione europea, in sostanza, ci dicono quello che è percepibile tra gli italiani e che risulta essere diverso dall’ottimismo di Letta e Saccomanni. La crisi sta per terminare negli Stati Uniti d’America, in Germania, in Francia e in altri paesi europei, mentre in Italia c’è una coda difficile da scorticare a causa della timidezza con cui il governo sta affrontando le questioni economiche. Nessun piano serio di dismissione e valorizzazione del patrimonio pubblico, scarsa incisività nel tagliare la spesa pubblica e debolezza nel fare le riforme portano ad un conto salato da pagare. Salato per tutti, per le famiglie che vedono diminuire i propri acquisti, per le imprese che vedono i competitori stranieri riprendersi dalla crisi e per i lavoratori, che registrano la crescita della disoccupazione. Un quadro a tinte fosche che il governo delle larghe intese doveva rivoluzionare grazie all’ampia maggioranza e che invece ha peggiorato a causa della scelta di galleggiare senza una strategia economica precisa ed incisiva.

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