I palazzi del potere svenduti al miglior offerente: da Botteghe Oscure a via Solferino, così si chiude un’epoca
Sic transit gloria mundi… La finanza fagocita la storia. Gli interessi passivi hanno la meglio sulla passione degli attivisti, politici, giornalisti o semplici militanti che siano. Così, alla lunga lista dei “palazzi d’inverno” pronti a risplendere di nuova vita immobiliare nella stagione della crisi, e nell’intramontabile era dei bilanci che dettano mode aggiornate alle nuove necessità economiche ed imprenditoriali, si aggiunge in queste ore la storica sede milanese del Corriere della sera dove risiede anche la redazione della Gazzetta dello Sport: via libera dal Cda Rcs alla vendita dell’immobile del gruppo nel centro cittadino, tra le vie San Marco e Solferino. L’accordo di cessione al fondo Blackstone vale 120 milioni di euro, con buona pace di blasone urbanistico e nostalgia retrospettiva. E da piazza Affari riecheggia il plauso, con una partenza in chiaro rialzo per Rcs in Borsa dopo il sì del Cda del gruppo editoriale alla vendita della storica sede il titolo, in avvio di scambi, sale dell’1,8% a 1,63 euro, tra movimentazioni piuttosto vivaci. Del resto, ormai, dovremmo essere abituati a repentini e indigesti cambi della guardia davanti ai portoni storici delle nostre città: come dimenticare il tormentato trasloco dei Ds che, inscatolate le ceneri del Pci, e fatti a fatica i bagagli, nel 2000 trasferirono storia, segreti e progetti da via delle Botteghe Oscure a via Palermo, prima, salvo poi cambiare pelle, nome, simbolo e sede con il Pd, ospitato oggi in largo del Nazareno. È in quella parallela di via Nazionale, a metà strada tra il Viminale e la Banca d’Italia – tanto per dare qualche riferimento metropolitano – che traslocò il quartier generale dei democratici di sinistra dopo l’addio al Bottegone. Un addio che sancì il piegarsi delle ragioni del cuore politico e immobiliare del comunismo italico, alle motivazioni economiche omaggiate col subentro nello storico bottegone di uffici finanziari a stelle e strisce come la Ernst & Young, passata poi ad ambienti meno impegnativi in via Po.
Potere dell’alternanza, una logica che dai luoghi di governo si declina evidentemente anche alle sedi dei partiti, non senza qualche beffardo risvolto. Così, se è vero che il palazzo nel quale Amendola litigava con Secchia, nel quale troneggiava la sala del comitato centrale dove venne l’infarto a Luigi Petroselli, e nel cui imponente androne svettava il busto di Gramsci incastonato nel marmo della parete e la bandiera della Comune di Parigi esposta sotto vetro come una reliquia, anche alle spalle di cotanto “edificio imperiale”, nel mitico triangolo delle Bermuda romano, tutto è andato in vendita al miglior offerente: in piazza del Gesù svetta infatti Palazzo Cenci Bolognetti, meglio noto come la sede storica (fino al 1994) della Direzione Centrale di quella che un tempo fu la Democrazia Cristiana a Roma. Ma anche lì, dopo diverse crociate giudiziarie e prese della Bastiglia immobiliari, persino quello che era sembrato a lungo un baluardo inespugnabile, si è arreso a conti, prezzi d’affitto e bilanci da sanare: e in quelle stanze che custodivano segreti e strategie che per cinquant’anni del secondo dopoguerra hanno regolati gli equilibri governativi della Dc. In quello che è stato il quartiere generale del partito di De Gasperi e Fanfani, Andreotti e Moro, nel corso del tempo si sono dovute aprire porte e portoni a nuovi inquilini, fino ad arrivare ad ospitare – beffardamente – la redazione de Il male, rivista satirica settimanale di Vauro e Vincino, riedizione di quel primo Male che a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 ebbe proprio nella Dc uno dei suoi principali bersagli.
Infine, per concludere questo lungo tour per i palazzi del potere, non si può non soffermarsi un attimo su quello che è stato ribattezzato semplicemente «Via del corso»: il palazzo che per anni è stato per gli abitanti della cittadella politica la sede del Psi di Bettino Craxi, al civico 476 dell’ arteria principale della Roma storica, facciata simbolo della Prima Repubblica ridotta in macerie morali dal terremoto di Tangentopoli, e che oggi si mimetizza tristemente con i chiassosi negozi del corso capitolino, su cui pianerottoli si sono alternati nel tempo diversi, meno illustri locatari.