La sinistra tifa per l’arresto del Cav. E Violante ammette: «La politica si è consegnata alla magistratura…»
Chi sembra augurarselo, chi lo indica come un mero dato di cronaca. Silvio Berlusconi, perso lo status di parlamentare, è ora esposto alla possibilità “tecnica” di un arresto e gli osservatori non mancano di sottolinearlo. Il Fatto Quotidiano, fedele alla sua linea giustizialista, ha dedicato al tema il titolo di apertura di oggi: «È fuori, può finire dentro». Nel suo editoriale, Antonio Padellaro ha sottolineato come il Cavaliere ora sia «privato dello scudo immunitario che da ieri sera lo rende passibile di arresto immediato su richiesta delle tante procure che lo indagano, senza contare che potranno perquisirlo e intercettarlo come un qualunque cittadino». Per questo, per il direttore del Fatto, «il condannato non può dormire sonni tranquilli». Realista, invece, il tono dell’ultimo sms della diretta che ieri Aldo Cazzullo ha tenuto dal Senato. «17:54 Ora le procure di Milano e Napoli affilano le zanne», si legge ancora sul sito del Corriere della Sera. Una conferma arriva anche il docente di diritto penale Carlo Federico Grosso: «Qualsiasi procura e qualsiasi gip potrebbero richiedere o emettere un’ordinanza di custodia cautelare, ovviamente in presenza delle condizioni previste dalla legge e purché si tratti di reati per i quali è prevista la custodia cautelare». L’impressione, dunque, è che tutti si aspettino – o almeno non escludano – una nuova impennata di protagonismo da parte di quei settori della magistratura più sensibili alle questioni berlusconiane. Un protagonismo che in questi anni è stato anche, forse soprattutto, politico, come ammette ora anche Luciano Violante. «La politica – ha detto l’esponente del Pd, in un’intervista al Quotidiano nazionale – ha delegato alla magistratura tre grandi questioni “politiche”: il terrorismo, la mafia, la corruzione. E alcuni magistrati sono diventati di conseguenza depositari di responsabilità tipicamente politiche». «È in atto – ha aggiunto Violante – un processo di spoliticizzazione della democrazia che oscilla tra tecnocrazia e demagogia. Ne conseguono ondate moralistiche a gettone tipiche di un Paese, l’Italia, che ha nello scontro interno permanente la propria cifra caratterizzante».