Pearl Harbor, i retroscena della battaglia che cambiò la Seconda guerra mondiale

1 Nov 2013 13:11 - di Redazione
Dopo Pearl Harbor, tutto è cambiato. Fino all’attacco giapponese del 7 dicembre 1941, infatti, gli Stati Uniti non erano ancora scesi in campo, e solo con questa devastante azione bellica la seconda guerra mondiale sarebbe diventata davvero un conflitto globale. Nel libro La battaglia che cambiò la Seconda guerra mondiale (Newton Compton) Roberto Iacopini –  studioso di storia militare e giornalista inviato al seguito delle missioni di peacekeeping – racconta non solo l’ideazione dell’attacco, la meticolosa organizzazione dei giapponesi e la storia dei suoi protagonisti (uomini, armi, mezzi aerei e navali), ma anche i retroscena che portarono alla disfatta americana. Dal ruolo giocato da diplomazia e intelligence d’oltreoceano all’impreparazione dell’apparato militare statunitense che sottovalutò fino all’ultimo, e nonostante vari indizi, la possibilità di un attacco nemico nelle Hawaii, fino alle “prove” addotte dai teorici del complotto del presidente Roosevelt e alla drammatica catena di errori e di circostanze fortuite che portarono gli Usa in guerra. Ma la fama di Pearl Harbor deve molto al cinema che ha contribuito a fissare in maniera indelebile questa tragedia nella memoria comune.
E anche se quella che chiamiamo Seconda guerra mondiale è stata in realtà una lunga serie di conflitti cominciati in tempi e in luoghi diversi, non può essere trascurato il fatto che il continente asiatico fu teatro delle azioni belliche più tragiche e spettacolari, dove non a caso si compì, con Hiroshima e Nagasaki,  l’apocalittico atto conclusivo di questo sanguinoso ed epico scontro. La storia della battaglia è preceduta da alcuni capitoli che condensano la storia del Giappone, spiegandone la trasformazione da stato feudale a moderna potenza industriale che volle sfidare Russia, Cina e Stati Uniti. “Pearl Harbor – scrive Iacopini – produsse l’effetto di risvegliare il gigante americano dal suo sonno per avviarlo sulla strada di un nuovo imperialismo soft, esattamente come paventava l’ammiraglio Yamamoto”. Uno dei personaggi più importanti tra i protagonisti di Pearl Harbor, nemico del partito della guerra agli Stati Uniti e poco convinto sull’esito positivo del conflitto, Yamamoto già nei primi mesi del 1941 aveva previsto la catastrofe, parlando così al primo ministro Fumimaro Konoye: “Se affermate che è necessario combattere, allora mi scatenerò nei primi sei mesi di guerra contro gli Stati Uniti e prometto una serie ininterrotta di vittorie. Vi avverto però, che se le ostilità dovessero prolungarsi per due o tre anni, non avrei alcuna fiducia nella vittoria finale”.

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