Pompei continua a perdere pezzi, qualcuno chieda almeno scusa a Bondi…
Solo cinque cantieri avviati su 39, tanti ritardi, mentre con le piogge dell’autunno – ampiamente annunciate – è ricominciato lo stillicidio dei crolli a Pompei. Soffitti crollati, mosaici frantumati e intonaci affrescati sbriciolati: è il quadro allarmante in cui si presenta il sito a tre anni dal crollo della Schola Armaturarum. L’allora ministro Sandro Bondi fu crocifisso e costretto a dimettersi, ma le cose sono peggiorate. Con una differenza, che i responsabili dei beni culturali succedutisi con il governo Monti fino a Bray non sono stranamente nell’occhio del ciclone, nessuno ha chiesto la loro testa nonostante in tre anni abbiano fatto poco o nulla per la messa in sicurezza del sito. Ma perché stupirsi? All’epoca era suggestivo mettere in parallelo il crollo di Pompei con le rovine (presunte) procurate dal governo Berlusconi. Ora che le rovine (vere) continuano ad accumularsi, almeno si abbia la compiacenza di riconoscere le scuse all’ex ministro Bondi, capro espiatorio di una campagna d’odio che aveva un ben altro obiettivo, visto che di Pompei, come i fatti dimostrano, non sembra interessi molto a nessuno. Pompei infatti sta aspettando l’arrivo del super Direttore generale che dovrà gestire il Grande Progetto di restauro finanziato con i 105 milioni messi a disposizione dall’Europa. Il termine ultimo scade l’8 dicembre ma nonostante il ministro Bray rassicuri su tempi e criteri per la scelta del nome, la preoccupazione cresce per il rischio che i soldi europei vadano perduti. I tempi, definiti dai sindacati “messicani”, si stanno allungando paurosamente e il degrado quotidiano incalza. Possibile che si sia arrivati con tempi così stretti a decisioni così delicate? Un caso emblematico, denuncia Antonio Irlando, presidente dell’Osservatorio sul patrimonio culturale, «è quello della Casa del Fauno, tra le più grandi e belle della città antica e anche una delle pochissime sempre aperte per i visitatori. Eppure anche qui- fa notare- ci sono segni di dissesto sotto gli occhi di tutti, soprattutto fra i mosaici». Danni documentati nel tempo dall’Osservatorio, che ha fotografato le tesserine coperte dall’acqua, staccate e aggredite dal muschio, e persino una lesione che taglia a metà la preziosa copia del grande mosaico di Alessandro. Irlando non si rassegna: «È assurdo che nessuno ci metta mano – commenta – ma in attesa del nuovo dg, sembra che la situazione qui sia come congelata». A dimostrazione della sua tesi, Irlando indica anche la vicina Casa dei Vetti, «chiusa da 11 anni per restauri e mai riaperta». Il vero problema è quello dei tempi di esecuzione dei restauri. L’accordo firmato con l’Unione europea prevede che i fondi stanziati debbano essere rendicontati entro dicembre 2015, «per cui i lavori dovrebbero necessariamente essere conclusi entro e non oltre il 30 giugno 2015». Cosa che è difficile prevedere già per i restauri che devono essere appaltati con le 8 gare attualmente in corso, i cui tempi di realizzazione si aggirerebbero intorno ai 18 mesi. E senza dimenticare che all’appello mancano poi altri 26 cantieri. I sindacati denunciano i «tempi messicani del governo». E anche l’ex sottosegretario ai beni culturali Riccardo Villari dichiara che «Pompei sta morendo di burocrazia». Di certo il tempo stringe: entro l’8 dicembre, insieme al dg, devono essere nominati il vice e lo staff, tutti, secondo la legge, provenienti dalla pubblica amministrazione.