Prodi si autoproclama “padre nobile”. Ma non è certo lui l’antidoto al populismo
Da quando è stato impallinato nelle aule parlamentari e gli è stato impedito di traslocare al Colle, Romano Prodi si è autoproclamato padre nobile del centrosinistra, a metà tra il sociologo e il filosofo. In questa veste regala perle di saggezza a scadenza bisettimanale, consentendo agli italiani di abbeverarsi alla sua fonte. Per l’ennesima volta si è messo in cattedra, dando a suo modo lezioni all’intero mondo politico: «L’unica risposta ai movimenti populisti è quella di far diminuire il tasso di malcontento. Cioè governare bene e dare possibilità di lavoro ai giovani», ha dichiarato con l’aria del professore. Che si debba governare bene è un’ovvietà, ma se ad affermarlo è lui – che è stato alla guida di uno dei peggiori esecutivi della prima e della seconda Repubblica – sembra una presa in giro, una barzelletta. Prodi si è detto preoccupato per il populismo dilagante perché – afferma – «i movimenti populisti sono obbligati a sfruttare tutte le tensioni e tutte le categorie perché vivono sul malcontento. Non hanno bisogno di fare proposte né di dire cosa vogliono, ma di esprimere il malcontento e questa è la loro forza». In parte è vero, c’è però un piccolo particolare: la presenza di personaggi urlanti e di comici trasformati in leader, non può impedire ad altri esponenti politici di raccogliere la rabbia della gente e di intepretarne le esigenze perché altrimenti il Palazzo si allontana sempre di più dalla gente comune. Non è stato populismo (nel significato negativo che Prodi dà alla parola) contestare il rigore del governo Monti, viste le ricadute che ci sono state sugli italiani; non è stato populismo (sempre nel significato negativo che Prodi dà alla parola) condurre una battaglia in Parlamento per non far pagare l’Imu, così da impedire un altro prelievo forzoso nei portafogli già semivuoti delle famiglie; non è stato populismo chiedere che i vip dello spettacolo non vengano ricoperti di oro e pretendere trasparenza sui contratti Rai. Prodi finge di non capire che è inaccettabile che qualunque protesta venga etichettata come demagogica: in questo modo si toglie credibilità all’intera classe politica. C’è un populismo generico e inaffidabile, ma c’è anche un populismo giusto e non strumentale, come insegna la storia. È sbagliato ridurre tutto a un giudizio sferzante di un fenomeno che ha radici nell’Ottocento, dal comunitarismo rurale della Russia al People’s Party, il partito statunitense fondato nel 1892 per portare avanti le istanze dei contadini del Sud, caratterizzato da una visione romantica del popolo e delle sue esigenze. Il Professore bolognese dovrebbe rendersene conto. E soprattutto non dare lezioni di buongoverno, visto il pasticcio che ha combinato con l’euro.