Si sta chiudendo un’epoca. E la nuova non può aprirsi con nostalgiche “operazioni di restauro”
Il quadro politico si sta complessivamente sfarinando. Non c’è partito , movimento o forza politica che non siano attraversati da un malessere profondo, come se un tarlo stia rodendo dall’interno un legno rinsecchito. Il tarlo scava solchi, gallerie e tutto viene giù come un castello di carte. È un’epoca che si chiude. Una fase politica che tramonta, mentre lo sfarinarsi avanza inesorabilmente. E quando si chiude un’epoca, c’è poco da gingillarsi nella speranza che il passato ritorni. Forse manca ancora una piena consapevolezza di quel che sta accadendo. La Grande Crisi, per certi versi, sta facendo velo a questo progressivo disfacimento. Nel senso che, per alcuni, essa rappresenta al tempo stesso la ragione e l’alibi dietro cui nascondere responsabilità che, invece, sono di altro tipo e hanno ben altre origini. È un po’ il tentativo, tanto maldestro quanto patetico, di rinverdire simboli, metodi e forme di un un passato che non torna più. Certo, può anche accadere che l’operazione di restauro offra nel mezzo qualche sussulto , qualche spiraglio di luce. Ma non sarà mai una luce capace di illuminare il futuro e offrire al viandante spaesato nuovi sentieri. Verosimilmente, è l’ultimo abbaglio nella notte . Le prossime settimane ci diranno cosa ne sarà del Pdl. A leggere le cronache di questi giorni e le invettive che i due schieramenti (lealisti e governativi) si lanciano in un crescendo di insulti e contumelie, è ben difficile che ricomposizione unitaria ci possa essere. La rottura è nei fatti, al di là della sua certificazione ufficiale. Non ci sembra che Berlusconi , al di là di quel che appare, abbia granché interesse ad evitarla. Più esattamente, l’unitarietà degli schieramenti in campo ha un tempo di durata limitato alla data della decadenza da senatore. Sarà un estremo atto di condivisione e di riconoscenza nei confronti del Capo per l’intero Pdl. Esaurito il quale, la divisione si sposterà inevitabilmente sulla tenuta del governo. E qui, le posizioni sono già delineate e ineluttabili. In più, in vista delle europee, il Cavaliere, indipendentemente dalla condizione in cui si troverà sotto il profilo giudiziario, avrà tutto l’interesse a forzare i toni del confronto con il Pd e non solo. Una rinata Forza Italia che assumesse il ruolo di una forza di lotta e di governo, sostenendo l’esecutivo dall’esterno, sarebbe molto più nelle sue corde. Una funzione forse non decisiva, sul piano numerico, se Alfano e compagnia manterranno il margine di adesione che si sono dati con il voto di fiducia, ma certamente incisiva sul piano politico. In prospettiva, una neonata Forza Italia, più radicale ed estrema sul piano dei contenuti economici, meno incline a tessere le lodi dell’Europa a trazione tedesca e dell’euro come espressione suprema di politiche accentuatamente monetariste, andrebbe a rastrellare consensi sulla destra e sul versante di un populismo non lasciato in balia del solito Grillo. Quanto agli argomenti dell’antipolitica, Berlusconi sa usare questa leva come nessun altro, quando si tratta di attaccare il giustizialismo della sinistra o di ergersi a vittima di un sistema partitocratico che, dalla sua discesa in campo, nel 1994, in poi ha rappresentato per lui un cliché quasi sempre vincente. Quanto tutto questo potrà produrre in termini di raccolta del consenso, è difficile dire. Ma, allo stato dei fatti, con un centrodestra destrutturato e in liquidazione, conta solo esserci, ritagliarsi uno spazio di interdizione, piuttosto che scomparire. Se questa analisi ha un senso (e ce l’ha), si restringono gli spazi per una rediviva Alleanza nazionale, al di là delle buone intenzioni (se ci sono) dei proponenti. Né si rigenera una destra moderna restringendone la missione a mero espediente di sopravvivenza, magari coniugata con argomenti non proprio entusiasmanti come quello delle primarie oppure del “non fare mai alleanze con la sinistra” ; niente di più di uno slogan, a ben vedere. Insomma, dallo sfarinamento non si rigenera la destra né si costruisce il centrodestra del domani. Ci vorrebbero, invece, il coraggio di gettare alle ortiche i vecchi schemi e la forza di un movimento collettivo di valore culturale e progettuale. Bisognerebbe spalancare le porte al nuovo, alimentare nuove idee, sollecitare nuovi entusiasmi e passioni, chiamare a raccolta intelligenze, energie sane e giovanili; e su queste basi far crescere una classe dirigente degna e all’altezza delle nuove sfide. Ovviamente, quel che vale su un versante dello schieramento politico, si replica, sia pure con forme diverse, sull’altro versante. A sinistra, il congresso del Pd sta diventando un tormentone indigesto. Tra tesseramenti fasulli e ipocriti balletti dei predatori dell’arca perduta alla ricerca di un posto sul carro del probabile vincitore (Renzi), si sta consumando quel che resta di una vecchia idea di partito monolitico e di massa. Quel che verrà dopo, sarà tutto da vedere. Per ora, registriamo anche lì il progressivo tramonto di quel che fu il partito di Togliatti e Berlinguer: gli epigoni hanno cercato strade tortuose e senza costrutto. Balza in tutta evidenza lo sfaldarsi di una fin qui solida architettura, e non solo per mancanza di architetti, piuttosto a causa della perdita del collante sociale e ideale che quella casa bene o male teneva in piedi. Di Monti e del suo partito non restano che poche spoglie, frammentato e conflittuale come è diventato con la velocità del suono. Quanto a Grillo e al suo Movimento Cinquestelle, i sondaggi lo danno in flessione, dopo la prova di pressapochismo ,imperizia, incompetenza e confusione offerta da gruppi parlamentari formati via web. Insomma, in questa sorta di cataclisma che scuote da destra a sinistra gli schieramenti politici, le incertezze e i patemi stanno superando il livello di guardia. Se non si recupera un briciolo di saggezza e di rispetto per il Paese, e se non interviene un Progetto serio che sia in grado di ridare senso alla politica e dignità ai suoi protagonisti, allo sfarinamento seguirà il vuoto. Un vuoto a perdere.