Veneziani rilancia l’idea del “Sindaco d’Italia”. Vero, è nelle corde della destra…

14 Nov 2013 16:11 - di Silvano Moffa

In un recente saggio, Michele Ainis sostiene che le leggi elettorali sono come un abito di sartoria: conta la stoffa, ma la misura dipende dal corpo che dovrà indossarlo, non dall’abilità del sarto. Il  paragone sartoriale usato con un po’ di fantasia dal noto costituzionalista aiuta a comprendere la natura e i limiti dei sistemi elettorali finora adottati.  Il proporzionale puro è stato un vestito tutto sommato ben adatto per  il sistema multipolare durante la prima Repubblica. Mentre il Porcellum calzava indosso ad un corpo politico bipolare, come quello espresso dalla società italiana nei vent’anni della seconda Repubblica. Ora però la situazione è mutata. Dal Porcellum  è scaturito un sistema tripolare, con tre forze politiche più o meno equipollenti. Le conseguenze sono ormai evidenti a tutti, sia in termini di distorsione che di stallo. Fatto sta che, nonostante incomba la sentenza della Corte Costituzionale a decretarne la illegittimità, nonostante gli appelli del Capo dello Stato e le ormai generalizzate critiche all’attuale legge, poco o nulla si riesce a fare per cancellarlo o, perlomeno, correggerlo. Nella impotenza inerziale delle forze politiche, si  ipotizza addirittura il ritorno al Mattarellum, cioè ad un maggioritario tagliato su collegi uninominali.  Se serve per cancellare il Porcellum, è fuor di dubbio che questa soluzione è sicuramente la più sbrigativa. Se  si vuole, al contrario, lasciare spazio ad una attenta riflessione su quel che potrebbe accadere, la restaurazione di quel sistema non sembra possa rappresentare la via d’uscita dalla crisi che l’attuale sistema politico sta attraversando. Paolo Cirino Pomicino, ex ministro della Dc nella prima Repubblica,  ricorda sul Corriere  che,  in quindici anni, il cosiddetto Mattarellum ha prodotto oltre 15-16 partiti in Parlamento a fronte dei nove presenti nella cosiddetta prima Repubblica , che aveva vissuto per oltre 40 anni con un proporzionale puro. Dal 1994 al 2006, oltre duecento parlamentari hanno cambiato casacca. Nei primi 40 anni, al netto delle espulsioni dal Pci del gruppo del “Manifesto” e del dc Mario Melloni,  i casi di cambiamento di partito si riducono a uno solo.  Per quanto possa essere significativo, il raffronto numerico  non è certo quel che più aiuta a comprendere il malessere di oggi. Molto più calzante ci pare, invece, il dato che attiene al  grado e alla qualità di rappresentanza del parlamentare, alla sua natura di eletto, osservata sotto il profilo del rapporto con il territorio e gli elettori. Quel rapporto si è liquefatto, è  venuto meno. E questo non ha giovato né al parlamentare, che ha finito con l’estraniarsi sempre più dalla gente e dal territorio, né è stato utile per i cittadini, che hanno visto dileguarsi un riferimento politico cui poter affidare  le proprie istanze. È qui che la politica ha segnato il punto più acuto della sua crisi.  Anche nel Mattarellum,  l’eletto non veniva scelto dagli elettori. Il nome lo trovavano scritto sulla scheda. A decidere il candidato erano gli organi di partito, quando i partiti erano organizzati su basi democratiche all’interno e avevano regole ferree  per garantire equilibrio tra le varie componenti, oppure tutto veniva demandato ad  una ristretta cerchia oligarchica, quando  i partiti hanno assunto una fisionomia  leaderistica e padronale. Certo , se il Porcellum fosse stato corroborato da un premio di maggioranza molto più contenuto rispetto all’attuale, e avesse previsto le preferenze, forse non ci  saremmo trovati nelle condizioni in cui siamo. E non avremmo il Parlamento che abbiamo. Questo, però, è il senno di poi. Ed è anche quel che  manda a dire la Consulta.  Tanto il ragionamento di Ainis, quanto la puntigliosa annotazione di Pomicino, hanno in comune il fatto che purtroppo ci si attarda a guardare il dito che indica la luna, e non la luna. La verità è che non esistono sistemi elettorali perfetti. Sono vestiti che si adattano al corpo, appunto. Il corpo è il problema. E se quel corpo, come sono oggi i partiti in Italia ( chi più chi meno), è malmesso e sbilenco, non c’è vestito che possa impreziosirlo e aggraziarlo. Questo è il punto. Dove esistono partiti che funzionano, strutturati, democratici, selettivi quanto a classi dirigenti, fondati su autentiche basi partecipative e regole di assoluta trasparenza, le cose funzionano. I sistemi politici reggono.  Dove questo manca, occorre seguire altre strade. Marcello Veneziani, dal suo angolo quotidiano sul Giornale, sprona il centrodestra a prendere per buona la proposta  Renzi del “Sindaco d’Italia”, vale a dire di adottare il sistema elettorale che da venti anni  è vigente nei Comuni. Idea certo non originale. Mario Segni la sposò senza grande fortuna molto tempo fa. Secondo Veneziani, avrebbe il pregio di spiazzare la sinistra, divisa al suo interno sull’ipotesi di Renzi (e non solo su quella), e di far uscire allo scoperto il sindaco di Firenze, per misurarne il grado di autonomia e di decisionismo. La sollecitazione di Veneziani non è fuori luogo. Tutt’altro.  L’elezione diretta del Sindaco, cui potrebbe ispirarsi quella del presidente della Repubblica o del premier, è nelle corde della destra e incarna l’idea del presidenzialismo che fu di Almirante, Pacciardi, Craxi, Fisichella , Miglio, Armaroli, Pera, Urbani. Erano i tempi di una destra , di un centrodestra e di un socialismo nazionale e proudhiano, che elaboravano idee forti e decisive  per  cambiare dalle fondamenta  la  Repubblica e riformare il sistema. Ora che tutto sembra illanguidirsi in un rivoltante gioco delle parti, mentre l’Italia si trova sull’orlo del baratro, è tempo di rimettere in campo idee-forza, che diano corpo ed anima ad un grande Progetto per l’Italia. E quello del Presidenzialismo, con i naturali ed ovvii  pesi e contrappesi, certamente lo è.

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