Addio ad Angelo Rizzoli. Per la moglie è stato ucciso dall’accanimento giudiziario

12 Dic 2013 11:47 - di Redazione

E’ morto a Roma Angelo Rizzoli, produttore cinematografico ed ex editore del Corriere della Sera che rimase coinvolto in una lunga vicenda giudiziaria alla fine della quale ottenne sei assoluzioni con formula piena. Lo ha confermato la moglie Melania. «Mio marito era malato, ma questa vicenda giudiziaria gli ha spezzato il cuore, lo ha sfinito», ha detto l’ex deputata del Pdl. Il  settantenne produttore cinematografico nel febbraio di quest’anno era stato accusato di bancarotta per un presunto crac da 30 milioni. Rizzoli era affetto da una grave forma di sclerosi fin da quando era ragazzo, ma i giudici avevano imposto il carcere nonostante persino gli agenti della Guardia di Finanzare si erano resi conto della sua incompatibilità con il regime carcerario. Per questo motivo il procuratore aggiunto Nello Rossi e i sostituti Giorgio Orano e Francesco Ciardi avevano chiesto al gip Aldo Morgigni di disporre un provvedimento di ricovero provvisorio in una struttura ospedaliera. «E pensare che solo quattro mesi fa una perizia della procura di Roma aveva certificato la sua compatibilità con il regime carcerario, pur con l’evidenza delle sue condizioni, già allora gravi – aggiunge Melania Rizzoli – Angelo era ricoverato da 13 giorni nell’unità intensiva coronarica al Gemelli. È morto questa notte tra le mie braccia». All’epoca critiche al provvedimento dei pm romani erano venute dal Pdl. Fabrizio Cicchitto, allora capogruppo alla Camera, aveva espresso «fortissime perplessità sull’opportunità dell’arresto di una persona notoriamente e visibilmente in condizioni fisiche assai precarie». Oggi in tanti tra coloro che avevano espresso allarme, ricordano la disumanità del meccanismo giudiziario. Per a deputata di Forza Italia, Jole Santelli «la magistratura gli ha tolto tutto ciò che aveva, infierendo su di lui sino alla fine. Sino all’arresto di una persona in gravi condizioni di salute. Non voglio mancare di rispetto a lui ed ai suoi cari – nota l’ex sottosegretario alla Giustizia – facendo apparire questo commento come una strumentalizzazione, ma chi ha visto il dolore che lo ha accompagnato negli ultimi mesi, sa bene quanto le mie parole siano vere». Si dice «sgomenta di fronte a questa morte», Stefania Prestigiacomo che chiede: «Adesso quel medico che ha detto che la sua condizione era compatibile con il carcere, rispetto al fatto che le sue condizioni generali sono precipitate proprio a seguito di questo calvario, pagherà in qualche modo? Che bisogno c’era di arrestare un uomo malato ma non terminale? L’Italia ancora una volta mostra il suo volto disumano e l’arretratezza del sistema giustizia che va assolutamente e con estrema urgenza riformato». Identici interrogativi sollevati dalla collega di partito, Renata Polverini: «Ancora una volta, certa magistratura con feroce accanimento, senza neanche fermarsi di fronte ad una malattia già di per se invalidante, lo ha sottoposto ad uno stress che ha finito per consumarlo».

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