Che il governo sia più forte è la barzelletta che a Letta è riuscita peggio. Eravamo e restiamo inguaiati
Ci vuole molto senso dell’umorismo, ma anche sprezzo del pericolo nel dire, come ha fatto Enrico Letta, che adesso “il governo è più forte”. Ma come, un pezzo consistente della maggioranza se ne va; tre partiti rigidamente collocati all’opposizione; un altro – azionista di riferimento dell’esecutivo – lacerato al proprio interno e propenso, in buona parte, a far cadere il premier per andare il più presto possibile alle elezioni, e Letta ed i suoi amici continuano a dire che il governo si è rafforzato, ben sapendo che basta uno stormir di fronde a spazzarlo via al Senato, dove gode di un margine risicatissimo di autonomia. Misteri della politica alimentati dallo stordimento generale che ormai come un morbo s’è insediato nella classe dirigente di questo nostro disgraziatissimo Paese.
Se a quanto ricordato aggiungiamo poi che il “passaggio parlamentare”, altrimenti detto “verifica”, incrociando l’inevitabile rimpasto, avrà inevitabili conseguenze sulla tenuta della maggioranza e le “piccole intese” potrebbero uscirne ulteriormente ridimensionate, va da sé che il mantra lettiano suona come una barzelletta mal riuscita.
Già questo quadro dovrebbe impensierire il premier ed i suoi ministri i quali non sembra si diano per inteso del viluppo di “aggressioni” esterne ed interne che stanno subendo, con la certezza che a questo governo non v’è alternativa. Sarà pur vero, ma non da qui a dire che è più forte quando nel Paese e nei numeri reali elettorali è ultraminoritario, sembra quasi un esorcismo che non fa onore al realismo di lo compie quasi per assicurarsi contro un “destino cinico e baro” dalle cui bizze, non messe in conto all’atto della formazione della compagine, dipende il futuro non soltanto di chi governa, ma di tutto il Paese.
Un Paese, diciamola tutta, frastornato, spaesato, demotivato che non crede nella ripresa soltanto perché non c’è. E che se dà uno sguardo, sia pure distratto ai giornali, scopre, con suo grande stupore, che in pochi mesi mentre in Spagna la disoccupazione è diminuita da noi è aumentata, che sempre là segnali evidenti di crescita sono incoraggianti, mentre in Italia la recessione continua a flagellarci, che mentre nella Penisola iberica il mercato del lavoro si muove e nuovi investimenti stranieri s’affollano alle frontiere, qui si vive di speranze e di annunci. Ma non era arrivato a 700 punti il famigerato spread che faceva dire a tutti che la Spagna era sull’orlo del default? Restiamo increduli. Increduli per quel che ci concerne, ammirati dall’iniziativa spagnola che ha saputo portare a “livelli italiani” il divario con la Germania, misura della decadenza come dell’impoverimento d’Europa.
Pasticci quali l’Imu, l’inserimento di nuove tasse, l’avvento di misure restrittive per ciò che concerne il credito e la disoccupazione giovanile che avanza non possono far dire al governo delle “piccole intese” che oggi è più forte soltanto perché Berlusconi è stato cacciato dal Senato e Forza Italia non sta lì a rompere continuamente. Questo partito in cerca d’autore è comunque ben vivo; Berlusconi non è finito e chi ne celebra il funerale politico è cieco; il fronte di lotta nel Paese si sta ampliando, guidato da tre leader extraparlamentari che marciano divisi per colpire uniti. Se il tutto conforta Letta al punto di dire che il governo è più forte, siamo contenti per lui. Ma saremmo ancora più contenti se, al contrario, ammettesse la propria debolezza e si appellasse alla pazienza degli italiani, facendo però vedere qualcosa, non annunciandola soltanto.
Dopo che avremo pagato anche la prima rata dell’Imu scansata a giugno, stia pur tranquillo che il governo traballerà come non mai e nessuno si starà a chiedere se l’agenda che Alfano sciorina ad ogni occasione per il 2014 verrà a meno rispettata. Ma cosa gliene ne frega agli italiani di agende e riforme che non si faranno mai quando dovranno buttare la tredicesima (magra) nel calderone del fisco e passeranno un Natale ricco di preoccupazioni e poverissimo di doni?