Con il ritiro del decreto “salva Roma” Letta stabilisce il record delle figuracce
Mai successo nella storia del Parlamento, un provvedimento che viene ritirato dal governo subito dopo aver incassato la fiducia della Camera e a un passo dall’approvazione definitiva. È il record negativo stabilito dal governo Letta con il decreto salva Roma. Un iter bruscamente interrotto alla vigilia di Natale, dopo un colloquio tra il premier e Giorgio Napolitano in cui i due hanno convenuto sull’ «appesantimento emendativo» subito durante l’esame in Parlamento. Troppe misure eterogenee ed estranee all’impianto originario, così non può andare, ha detto il presidente della Repubblica a Letta. E il governo ha rinunciato a chiedere la conversione in legge del decreto. In effetti, il provvedimento nato per mettere in sicurezza il bilancio del comune di Roma, è stato letteralmente preso d’assalto dai parlamentari, che l’hanno trasformato in un’accozzaglia di misure senza alcun legame con lo scopo per il quale era stato emanato. Ora il governo deve correre ai ripari per ripristinare in extremis gli interventi che servono a evitare il default della Capitale: l’impegno è di intervenire oggi stesso con il decreto milleproroghe, all’ordine del giorno del consiglio dei ministri. D’altra parte c’era poco da obiettare ai rilievi di Napolitano: nel decreto c’era davvero di tutto. Durante l’esame in commissione e in aula erano spuntate decine di modifiche in pieno stile «prima Repubblica» in favore di questa o quella realtà locale: dalla sanatoria di chioschi sulle spiagge, ai finanziamenti straordinari di Pietralcina (il paese di Padre Pio), passando per la sostituzione delle lampadine dei semafori con lampade a led, i fondi per i teatri San Carlo di Napoli e la Fenice di Venezia, gli stanziamenti per il trasporto pubblico della Calabria e altro ancora. Non solo: nella furia dell’assalto parlamentare, lì dentro era finita anche la norma che toglieva soldi ai comuni che riducono la presenza delle slot machines sul loro territorio. Solo di fronte alla levata di scudi generale quella misura era stata cancellata. Ora, se tutto andrà secondo i piani di Letta e il decreto milleproroghe taglierà il traguardo, le finanze del comune di Roma saranno salve.
Nel decreto in arrivo troverà posto anche la correzione della norma che impediva alle Camere di rinunciare ai palazzi presi in affitto a Roma a prezzo da capogiro, che era stata inserita nella legge di stabilità. Tutto il di più andrà al macero. Intanto le tribolazioni del decreto in Parlamento, come prevedibile, hanno scatenato la polemica tra maggioranza e opposizione. Forza Italia, con Renato Brunetta, va alla carica del governo, sostenendo che «con la decadenza del decreto decade anche Letta». Gli azzurri e i leghisti irridono le misure clientelari inserite nel decreto; ma anche l’esponente del Nuovo centrodestra di Alfano, Fabrizio Cicchitto non esita a bollarle come «marchette» . Mentre la Lega Nord si prende il merito del dietro-front compiuto dal governo e lancia l’allarme: stiamo attenti, avverte il vicecapogruppo Nicola Molteni, che il decreto milleproroghe non si trasformi in un decreto «millemarchette».