La piazza magmatica dei Forconi manda in tilt le etichette. E a Piazzale Loreto destra e sinistra provano a darsi la mano…

14 Dic 2013 11:36 - di Redattore 54

Se il governo Letta ha varato la legge che dice stop al finanziamento pubblico ai partiti (ma solo a partire dal 2017) in fretta e furia, l’urgenza è dovuta soprattutto alla necessità di tessere attorno a Matteo Renzi una tela di protezione che metta al riparo la “stabilità”. Dei forconi Palazzo Chigi non si cura, relegando la questione a vicenda di ordine pubblico. Il movimento è spiazzante, sfuggente, magmatico. L’inesistente cultura politica dei portavoce, la rozza semplificazione dei loro slogan (al di sotto pure dei vaffa-day di Grillo), il martellante lavoro dei media che o ridicolizzano o demonizzano sono i migliori alleati di un premier alle prese con i bollori della piazza. Le tendenze che si intrecciano all’ombra dei presidi “forconisti” prendono direzioni diverse: gli antifascisti vorrebbero bloccare la jacquerie di destra cantando Bella ciao (schema consolidato, che funziona fin dagli anni Settanta e che viene replicato spesso con successo) ma ci sono luoghi, come Piazzale Loreto a Milano (sulla cui valenza simbolica non è il caso di soffermarsi) dove il movimento del 9 dicembre applaude lo striscione di Forza Nuova e dove alla fine tutti urlano uno slogan rassicurante oltre la destra e la sinistra: “Siamo/tutti quanti/italiani”. C’è un video che lo testimonia. Se ne accorge Gad Lerner, giornalista schierato ma non certo privo di acume, che riporta su Repubblica la testimonianza di Stefano, titolare di un’azienda di pulizie  e ristrutturazioni: “Io sto pregando perché estrema destra e estrema sinistra si incontrino. Metterle insieme è il nostro sogno”. E poi, racconta Lerner, c’è il giovane Nicola, con la maschera di Anonymous, che sottolinea: “Se qui ci stiamo anche noi, gli antagonisti, è perché il pericolo di cadere preda dei fascisti non esiste. Dobbiamo credere nell’unità popolare…”.

Non che non ci siano mai state, in passato,  esperienze di superamento di questo tipo, fuori dalla logica degli opposti schieramenti. Un esempio per tutti: gli scontri di Valle Giulia con manifestanti di destra e di sinistra sulla stessa barricata, prima che il vertice del Msi decidesse la sterzata d’ordine e stabilisse che lo scontro generazionale era più ortodosso e “pagante” elettoralmente. Ma nella storia culturale della destra questa suggestione sta scritta sui romanzi degli autori più amati, come in Gilles di Drieu La Rochelle, il cui protagonista, dinanzi alla piazza della Concordia  rosso-nera del 6 febbraio 1934 a Parigi esclama: “Questo Popolo non è morto, come credevamo dentro di noi; il nostro Popolo è uscito dal suo torpore. Questo Popolo, che ha abbandonato i villaggi e le chiese e che è venuto a chiudersi nelle fabbriche, negli uffici e nei cinema, non ha ancora perduto la fierezza del suo sangue. Ora che il furto e il sopruso trasudano, si affermano, gridano da ogni parte, non ha potuto più resistere ad un richiamo così potente delle Erinni ed è sceso nelle piazze. Ho visto i comunisti vicino agli uomini dell’estrema destra; li guardavano, li osservavano turbati con uno strano desiderio dipinto sul volto. Per un pelo non si sono incontrati, in un miscuglio stridente, tutti gli ardori della Francia. Capisci, Clérence? Corri dai giovani comunisti, indica loro il nemico comune di tutti i giovani, il vecchio radicalismo corruttore.”

Ma sono solo evocazioni letterarie. Nella pratica, l’incontro delle “estreme” è molto più complicato, molto più difficile, molto più arduo da digerire e da far digerire. La politica necessita di declinazioni. Autodefinirsi “popolo” è un inganno verbale. I Forconi godono della solidarietà istintiva di un’opinione pubblica sensibile ai temi dell’anticasta ma difficilmente uno se li immagina nei panni di deputato o senatore. Nel linguaggio che utilizzano per incitare alla rivolta affiorano addirittura note millenaristiche. Invocano Papa Francesco come il salvatore, l’unico, che può districare la matassa. Ci vorrebbe lui. Prendete esempio da lui. Fate Papa Francesco premier, dice Maurizio Zamparini, il presidente del Palermo fondatore del Movimento per la gente, in televisione.  La politica è lontanissima. Il quotidiano dei vescovi Avvenire li benedice a modo suo: politici – ammonisce – non sottovalutate questi figli della crisi.  Il contadino Danilo Calvani (quello della jaguar) su Fb dà appuntamento a tutti il 18 a Roma concludendo così: “Viva l’Italia e che Dio ci benedica”. Andrea Zunino, quello dei “banchieri ebrei”, pubblica sul suo profilo Fb note sul male teologico ispirandosi al poeta Sufi Rumi. Mariano Ferro, il più scaltro, si atteggia a unto del Signore. Lucio Chiavegato brucia la querela di Befera in piazza come nel Rogo delle vanità di Savonarola. Nell’era dell’Acquario, si atteggiano a fare i nuovi Flagellanti, invitano il popolo al pentimento (“Non dormite, svegliatevi”), rinfacciano ai politici i loro “peccati”. Ma cosa votavano prima questi convertiti all’antipolitica? Ah, saperlo…

 

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