L’Italia nel caos fiscale e Brunetta si sfoga: «Saccomanni si dimetta, l’Europa lo ha già bocciato»
L’incredibile caos che stiamo vivendo sulla seconda rata Imu, che un giorno si paga e un giorno no; i commercialisti che vacillano, tra service tax e quant’altro, e non sanno neanche loro cosa, quanto e quando far pagare o meno ai clienti; la dialettica politica rovente che consegue a questa confusione quotidiana: solo alcune tessere inquietanti di un mosaico che dovrebbero indurre un ministro dell’Economia almeno a dire, “ho sbagliato”. Macché. Oggi Libero fa da apripista nel richiedere le dimissioni del ministro Saccomanni, che a dispetto di tutti gli indicatori economici continua a essere sempre più ottimista dei dati reali. L’immagine di un ministro che ha perso la bussola è palpabile e oggi è il capogruppo alla Camera di Forza Italia, Renato Brunetta, a chiedere ufficialmente che il ministro se ne vada per manifesta incapacità. Brunetta sostanzia questa richiesta “brutale” con dati francamente ancora più indifendibili. «Non era lui l’uomo della Provvidenza, l’uomo di Napolitano, l’uomo di Draghi, l’uomo che rassicurava i mercati, l’uomo che avrebbe ridato credibilità all’Italia e riportato il nostro Paese su un sentiero virtuoso di crescita? Evidentemente no», chiede e risponde l’esponente di Fi. Saccomanni non si sa bene di quale Paese parli, a giudicare dalle interviste rilasciate. «Lo abbiamo definito ineffabile e ridicolo per le sue dichiarazioni sul governo che “va avanti con il programma” (quale?) e sui “ passi avanti” del nostro debito pubblico. Ci chiedevamo: passi avanti nel senso che aumenta»? Non solo, ma a ogni sua dichiarazione è seguita da una smentita, è matematico, «per ogni dichiarazione del ministro – continua Brunetta – è subito arrivata un’altra doccia fredda. Per il commissario agli affari economici e monetari dell’Unione europea, Olli Rehn, l’Italia non sta rispettando il ritmo di riduzione del debito previsto dal Fiscal Compact e dal Six Pack. L’esatto contrario di quanto sostiene Saccomanni». Se è un gioco, non è divertente.
«Proprio per questa dinamica in aumento del debito pubblico, il nostro Paese – spiega – non potrà beneficiare della clausola di flessibilità per gli investimenti produttivi nonostante rispetti l’altro vincolo di bilancio: il limite del 3% nel rapporto deficit/Pil». Il problema è che i rilievi sul debito pubblico italiano da parte della Commissione europea non li si scoprono oggi: «Già lo scorso 15 novembre, in sede di valutazione della Legge di stabilità, la Commissione aveva chiesto al governo Letta di fare maggiori sforzi per garantire un calo del debito in linea con gli impegni europei». A questo punto, il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia hanno lanciato in due conferenze stampa due soluzioni, la spending review, da un lato, un piano di privatizzazioni, dall’altro. Tutto bene allora? Proprio no, «a quanto pare – insiste Brunetta – non è bastato, se il commissario Rehn ha commentato che la Spending review sarà valutata positivamente non sulle intenzioni, ma solo se produrrà effetti concreti già nei primi mesi del 2014, cosa alquanto improbabile». Quanto alle privatizzazioni, niente illusioni: «Secondo il commissario, il contributo alla riduzione del debito pubblico sarà minimo». Il verdetto per lui è: dimissioni subito.