Monti reo confesso: sono stato io ad “ammazzare” Berlusconi
Finito in soffitta, dimenticato persino dal “popolo del web” che lo ignora e non pubblica più neppure sfottò e vignette, Mario Monti tenta di riconquistare visibilità gettando in pasto ai cronisti la classica frase utile a scatenare le ire funeste dei suoi avversari: «Se non ci fosse stata la mia Scelta Civica, saremmo stati al Quirinale ad ascoltare gli auguri del presidente della Repubblica Silvio Berlusconi». In sostanza, la sua gigantesca nomina – prima a senatore a vita e dopo ventiquattr’ore a premier, per poi giungere alla leadership centrista – non è servita certo a salvare l’Italia dai fantasmi della crisi e neppure a risollevarne le sorti economiche, ma solo a fare un fallo da cartellino rosso a Berlusconi. Uno sgambetto che è costato parecchio agli italiani, costretti a vivere una stagione di lacrime e sangue e a subire il governo dei Letta e delle Kyenge, nonché le presidenze delle Boldrini e dei Grasso. Un conto salato, dunque. Ma lui, il professore bocconiano, ne va fiero, come andava fiero di aver partorito l’Imu, la tassa (a suo dire) più bella che gli italiani abbiano mai dovuto pagare. Lo scivolone non è solo di cattivo gusto: Monti, con quella frase, ha ammesso implicitamente il “golpe dello spread” e il tentativo (riuscito) di annullare la volontà popolare. Dire che, se non ci fosse stato lui, Berlusconi sarebbe presidente della Repubblica significa dichiarare che lo stesso Berlusconi avrebbe vinto senza dubbio le elezioni. Ma vincere le elezioni, in una democrazia, significa avere il consenso della gente, un particolare che sfugge a un personaggio che – come ha detto persino il suo ex alleato Casini – vive di spocchia. Altro particolare: come hanno più volte ribadito i vertici del centrodestra, Monti «è stato una semplice pedina di un gioco più vasto che ancora gli sfugge». In verità, è difficile credere che gli sfugga. Anche perché tutti lo ricordano inginocchiato ai piedi della Merkel.