Poujade, Sorel e i forconi…
Il movimento dei forconi è di destra. Inconsapevolmente, se si vuole, “malgré soi”, direbbero i francesi, ma se le categorie della politica (quella “culturale”) hanno ancora un senso oggi che sembra siano diventate solo “griffe” per avventure elettorali, se ne facciano una ragione. Qualcuno li ha definiti “poujadisti”, ma la maggior parte dei giornalisti under50 probabilmente non sanno nemmeno chi fosse Pierre Poujade. Ovviamente era francese. Fondò negli anni ’50 un movimento per la difesa degli artigiani e dei commercianti, contro l’eccessiva pressione fiscale e la concorrenza delle multinazionali e della grande distribuzione. Ottenne un discreto successo elettorale scagliandosi contro la classe parlamentare accusata di essere oziosa, chiacchierona e incapace di dare soluzioni ai problemi reali della gente e difendere gli interessi nazionali. Grillo a confronto è un commediante insomma (cioè quello che è). Poujade era uno che veniva da una famiglia numerosa, aveva lavorato in tipografia e faceva il sindacalista. Quindi, “uno vero”. Il suo movimento si dichiarava “né di destra, né di sinistra”, quindi era veramente di destra. Non tutti sanno che Jean-Marie Le Pen iniziò la sua avventura politica alla fine degli anni ’50 come deputato poujadista. Uscì dal movimento per fondare il Front national, perché riteneva che la protesta sociale di settore, priva di una proposta di rafforzamento dell’identità e della coesione nazionale, non avesse alcun senso.
Ma in origine fu Sorel (Georges Eugene). Noto come il padre del “sindacalismo rivoluzionario” è il nume tutelare di tutti i movimenti di piazza francesi. In Francia, d’altronde, persino gli infermieri quando scendono in piazza fanno le barricate. Georges Eugene pubblicò nel 1908 il suo acclamato “riflessioni sulla violenza”, nel quale diceva che in fin dei conti “bruciare tutto non è sempre così brutto come leggi il giorno dopo sul giornale…” (anzi no, quello era Alberto Radius nella canzone “Nel Ghetto”). Ma diceva, volendo, anche di peggio, fustigando marxisti e socialisti venduti alla borghesia, il Parlamento come luogo di vaniloquio borghese e teorizzando lo “sciopero generale” come “tirocinio sociale” per acquisire una vera coscienza di classe e il mito sociale come espressione della volontà e non dell’intelletto, ben diversamente dalla utopia che è un prodotto intellettuale (e quindi borghese). Ovviamente a lui si ispirò – tra gli altri – il Mussolini socialista e sindacalista rivoluzionario, ma anche Gramsci, Croce e Pareto. Se ne consiglia la lettura ai capi dei forconi. Ma a questo punto anche a Grillo. E – perché no? – a Berlusconi e a Letta.