Prodi ci ripensa e voterà alle primarie del Pd. Epifani parla di «buon viatico». Ma basterà a evitare il rischio flop?

6 Dic 2013 20:02 - di Redazione

Con una certa enfasi, Romani Prodi ha annunciato che ci ha ripensato e che voterà alle primarie del Pd. «Domenica, di ritorno dall’estero, mi recherò a votare. In questa situazione così drammaticami farebbe effetto non mettermi in coda con tanti altri cittadini desiderosi di cambiamento», ha detto il professore, collegando il suo ripensamento alla sentenza della Corte costituzionale sul sistema elettorale. «Le primarie del Pd assumono oggi un valore nuovo. Nella situazione che si è venuta a determinare è infatti necessario difendere a ogni costo il bipolarismo», ha spiegato, aggiungendo che «pur con tutti i suoi limiti, il Pd resta l’unico strumento della democrazia partecipata di cui tanto abbiamo bisogno». Con ancora più enfasi, Guglielmo Epifani ha commentato l’evento. «Un buon viatico, una scelta che gli fa onore», ha detto il segretario del Pd, per il quale «il fatto che Prodi abbia cambiato idea è un fatto che è stato particolarmente positivo e apprezzato dalla comunità dei democratici italiani, perché è una scelta importante che spinge al voto e sono convinto che possa far crescere la partecipazione». Ma Prodi, ormai da tempo, non è più avvertito come un leader del centrosinistra e forse, nell’immaginario comune, nemmeno come un padre nobile. Buon senso dovrebbe far riconoscere che il suo voto, oggi come oggi, vale uno come quello di qualsiasi altro elettore. Al massimo, con un po’ di appeal in più per le foto di rito. Perché allora tutto questo entusiasmo per il fatto che Prodi voterà? La parola chiave è «partecipazione» perché, nonostante l’enorme visibilità mediatica data all’appuntamento e benché Epifani sostenga di aspettarsi «un buon risultato» in termini di votanti, in realtà l’incognita “quorum” in questa vigilia pesa moltissimo. Il timore di un flop è dietro l’angolo e non basta a fugarlo nemmeno la cifra al ribasso data da Matteo Renzi come soglia minima accettabile: 1 milione e mezzo di voti. Pesano i precedenti: nel 2007 per eleggere Walter Veltroni i votanti furono 3,5 milioni, nel 2009 quando vinse Pier Luigi Bersani furono 2,8 milioni. Pesano anche, forse soprattutto, il clima politico tout court e quello specifico intorno al Pd che è molto meno rassicurante di quanto il partito voglia far credere. Tra governo delle larghe intese e liti interne di cui hanno fatto mostra, infatti, i democratici sono a rischio disaffezione né più né meno degli altri partiti. Del resto, lo stesso Prodi, annunciando il voto, ha parlato di un Pd «con tutti i suoi limiti».

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