Renzi si gioca la partita sulla legge elettorale proponendo il doppio turno alla francese

4 Dic 2013 17:28 - di Oreste Martino

Far partire il treno delle riforme. È questa la condizione che Matteo Renzi, segretario in pectore del Partito Democratico, ha posto al premier Enrico Letta per lasciarlo tranquillo a Palazzo Chigi fino al 2015. Il sindaco di Firenze deve dimostrare già da lunedì prossimo una forte discontinuità col passato, sia in seno al partito che come azionista quasi totalitario del governo. A Largo del Nazareno la prossima settimana Renzi insedierà una squadra che darà un’idea iconografica dell’avvenuta rottamazione. Due giorni dopo, invece, chiuderà l’accordo con Letta per arrivare al 2015, ma con condizioni chiare, sapendo bene che il galleggiamento aiuta l’attuale inquilino di Palazzo Chigi e rischia di logorare il segretario.

Ecco perché sono rispuntate fuori le riforme da fare in poco più di un anno, sia quelle istituzionali sia quella elettorale. La riforma più complessa è ovviamente quella della costituzione, visto che serve un doppio passaggio parlamentare e che se non ottiene i due terzi dei voti parlamentari – cosa impossibile senza Berlusconi – può poi essere sottoposta a referendum. Su questo versante la mossa di Renzi è tattica, di pura propaganda. Il neo segretario del Pd ed il partito si intestano una modifica agile che abolisce il Senato, semplificando così il procedimento legislativo e riducendo di un terzo i parlamentari. Pensare che questo possa avvenire in appena dodici mesi senza la sospensione per un eventuale referendum è un’illusione, ma dal punto di vista propagandistico funziona perché fa apparire Renzi come colui che subito vuol cambiare il vecchio assetto dello Stato, cominciando peraltro con un taglio di poltrone e costi della politica.

La partita vera si gioca invece sulla legge elettorale. Enrico Letta trarrebbe vantaggio da una decisione della Corte Costituzionale che amputa il premio di maggioranza al Porcellum ed impone larghe intese a lungo, ma Renzi tutto può permettersi tranne che rinunciare ad un sistema bipolare in cui l’elettore sceglie il leader. Ecco perché ha proposto il doppio turno alla francese, che oltre ad essere un buon sistema elettorale è anche quello più consono alla strategia renziana. I collegi limitano infatti la nomenclatura e facilitano il ricambio a favore degli amministratori locali, mentre il doppio turno permette al Pd di costringere Sel ed altri ad allearsi al ballottaggio senza poter avanzare grandi pretese programmatiche o di posti. In Francia al secondo turno vanno tutti i candidati che al primo hanno superato la soglia del 12,5%, mentre l’idea del Pd è di fare un vero e proprio ballottaggio soltanto tra i primi due più votati.

Se è chiaro il motivo per cui Renzi ha interesse a questo modello ed è altrettanto chiaro che a Letta conviene accettarlo per arrivare al 2015 non si capisce invece perché Angelino Alfano e Il Nuovo Centrodestra dovrebbero aderire ad una legge elettorale che rischia di farli fuori dal Parlamento. Al ballottaggio andrebbero sempre due candidati tra quelli di Pd, Forza Italia e Grillo e sembra al momento difficile immaginare che il candidato di Ncd possa conquistare il secondo turno superando in percentuale due dei tre concorrenti dei principali partiti, tutti quotati dal 20% in su.

Su questo Alfano rischia molto e deve fare grande attenzione, perché per vincere la battaglia dell’allungamento della legislatura al 2015 rischia di perdere la guerra e di spianare la strada a Renzi per la conquista di Palazzo Chigi, lasciando a Forza Italia il terreno dell’opposizione.

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