A vent’anni dal primo messaggio in tv Berlusconi è ancora sul ring (e nella beauty farm…)
Non festeggerà i vent’anni della nascita della “sua” Forza Italia, anche se è tornato sulla breccia grazie all’intesa con Matteo Renzi sulla legge elettorale mediaticamente perfetta. Berlusconi non ha trovato la ricetta giusta per le celebrazioni rinunciando a una grande manifestazione a Roma o alla “festa” di piazza a Milano: il Cavaliere preferisce giocare la carta intimistica, se ne andrà a riposare con la Pascale, l’immancabile Dudù e il probabile nuovo coordinatore unico di Forza Italia 2.0, Giovanni Toti, in una beauty farm sul lago di Garda. Si dice che voglia perdere otto chili per tornare in televisione, dimostrando di non essere cambiato: grande comunicatore per tutto il ventennio, ha sempre fatto leva sui media per sedurre il popolo italiano con le parole chiave del buon governo e della rivoluzione dolce.
Apparizione televisive, lettera a tappeto recapitate a domicilio, maitre à penser poi finiti nel dimenticatoio, la straordinaria macchina traghettata direttamente da Mediaset e Fininvest. Era il 26 gennaio 1994, quando Berlusconi decise l’ormai celeberrima “discesa in campo” resa nota con un messaggio televisivo di 9 minuti inviato a tutti i telegiornali. L’ingresso nell’agone politico (con annessa presa di distanza da Craxi) fu preparato scientificamente a cavallo tra il ’92 e il ’93 sulle ceneri dei partiti della prima repubblica. Obiettivo dichiarato fare da diga alla sinistra perché «gli eredi dei comunisti stavano per prendere il potere dopo aver scardinato la democrazia con l’uso politico della giustizia», spiegò in un’intervista del 2005. Anche allora c’erano falchi e colombe: i primi, con Dell’Utri e Previti in testa, a spingere per il Cavaliere si tuffasse senza esitare nella nuova sfida, e i secondi molto scettici, tra questi oltre al direttore del Giornale, Indro Montanelli con il quale ruppe un legame decennale, anche Federico Confalonieri e Federico Orlando. Vinsero i primi: dall’esperienza dei club dell’Associazione nazionale Forza Italia, guidati da Giuliano Urbani, prese forma il nuovo partito che, a soli due mesi dall’annuncio, incassò la vittoria alle politiche del 27 e 28 marzo marzo 1994 che portò alla nascita del primo governo Berlusconi con il Msi e la Lega.
Si è molto discusso sullo “sdoganamento” del potente capitano d’industria nei confronti della destra ancora post-fascista, ghettizzata e per decenni esclusa dal cosiddetto “arco costituzionale”. La prima apertura a effetto verso la destra missina avvenne con la celebre presa di posizione nel novembre 2003 a favore di Gianfranco Fini all’epoca candidato a sindaco di Roma contro Francesco Rutelli. L’outing (se vivessi a Roma voterei per lui) ebbe una straordinaria eco mediatica, ma sarebbe ingeneroso immaginare che la nuova parabola del Msi, che portò di lì a poco alla nascita di Alleanza nazionale, sia stata resa possibile per merito del leader azzurro. Vero è che Berlusconi per primo nella storia del dopoguerra ruppe il tabù delle alleanze con la destra trascinando il centro recalcitrante. Vero è che maturarono i tempi perché la destra si facesse interprete delle aspettative diffuse di un centrodestra, orfano della Dc, e si aprisse a un elettorato più ampio nel nome di una comune identità nazionale.
E poi il ribaltone legista, le nuove alleanze, l’esordio di un linguaggio impolitico, il progressivo evolversi di parole d’ordine semplici lanciate da un Berlusconi parvenue e quindi più credibile agli occhi degli italiani dei “sepolcri imbiancati” della prima repubblica, la nascita di un partito-leggere sul modello americano, l’odio-amore con An, forte invece di una tradizione identitaria e molto radicata sul territorio. Vent’anni: è stata una stagione contrassegnata da accelerazioni e balzi indietro, da amici storici che vanno via, da new entry malviste dal cerchio magico berlusconiano, la fusione a freddo nel Pdl, l’errore più grave riconosciuto da Fini, perdendo per strada Casini, fino all’implosione di quell’eperienza e la frammentazione di quello che fu primo il Polo della libertà e poi la Casa delle libertà. E ancora le vicende giudiziarie, i dolori personali, le cadute di stile, le condanne. C’è da festeggiare? C’è da ricordare, magari anche storicizzare un ventennio che ha lasciato un’impronta decisiva nella storia italiana del dopoguerra determinando anche gli orientamenti di una sinistra superba, afflitta dalla sindrome del “migliore”, che sottovalutò il miracolo (o la sciagura) di Berlusconi e ancora oggi è ossessionata dal Cavaliere. Che dopo vent’anni ci riprova con il 2.0 depurato di “traditori” e scissionisti o semplicemente innovatori.