Cent’anni fa nasceva Federico Caffè, il mite economista che apprezzava Keynes, criticava il neoliberismo e scomparve come Majorana
Il centenario della nascita dell’economista Federico Caffè (che venne alla luce nel giorno della Befana del lontano 1914 in una frazione di Pescara) sarà sicuramente occasione per approfondire l’eredità di un pensiero complesso – Caffè è “etichettato” come colui che divulgò le idee di Keynes nel nostro paese ma gli spunti lasciati dai suoi studi sono innumerevoli – che continua ad irrigare molti filoni. Non a caso oggi Repubblica, dedicando una pagina a Caffè, ricorda che furono suoi allievi Mario Draghi e Ignazio Visco. Così l’Enciclopedia Treccani ricostruisce la sua biografia, terminata con misteriosa scomparsa dalla sua casa di Montemario a Roma nel 1987 in analogia con il caso di Majorana: “Laureatosi a Roma nel 1936 in economia e commercio, l’anno seguente entra come impiegato alla Banca d’Italia. Nel 1939 diventa assistente volontario di politica economica presso la facoltà di Economia e commercio di Roma. Richiamato alle armi nel 1940, dopo l’8 settembre 1943 si trova sbandato, ed entra poi in clandestinità. Dopo la liberazione di Roma diventa capo della segreteria particolare del ministro dei Lavori pubblici, Meuccio Ruini. Nel 1947-48 è borsista alla London school of economics. Libero docente di politica economica e finanziaria dal 1949, dal 1951 al 1955 è professore incaricato di economia politica nella facoltà di Giurisprudenza di Bologna. Nel 1956 si trasferisce alla cattedra di economia politica della facoltà di Giurisprudenza di Bologna, e nel 1959 a quella di politica economica e finanziaria della facoltà di Economia e commercio di Roma. Dal 1965 al 1974 è direttore dell’Ente per gli studi monetari, bancari e finanziari Luigi Einaudi di Roma”. Nel dopoguerra Caffè era stato vicino al riformismo cattolico di Cronache Sociali di Dossetti e negli ultimi anni prima della scomparsa aveva preso di mira la retorica neoliberista e quella degli aficionados del mercatismo.
Caffè approfondì in particolare i temi legati al Welfare, con particolare attenzione agli aspetti sociali ed alla distribuzione dei redditi. Dedicò molta attenzione anche agli economisti scandinavi e alle esperienze di questi paesi, divulgando in Italia il pensiero e gli scritti di economisti scandinavi quali Gunnar Myrdal e Frederick Zeuthen. La politica economica era per lui «quella parte della scienza economica che usa le conoscenze dell’analisi teorica come guida per l’azione pratica». La riscoperta del suo pensiero, oggi, è in singolare sintonia con il revival dell’imprenditore illuminato Adriano Olivetti. Le elaborazioni di Federico Caffè miravano a superare le teorie che esaltavano il collettivo a scapito dell’individuo o che sopravvalutavano l’individuo a scapito della sua dimensione sociale. La scienza economica, dunque, deve recuperare l’impegno civile per oltrepassare il concetto secondo cui il compito degli economisti è solo quello di produrre ricchezza. In questo modo si potrà restituire all’economia un valore etico imprescindibile, liberandola dalle utopie collettiviste e da quelle individualiste. Già in un saggio del 1943 Caffè scriveva che «compito fondamentale e ideale della politica economica rimane pur sempre quello del simultaneo raggiungimento dei due non separabili obiettivi: massimo prodotto (efficienza) ed equa distribuzione».