Gli Usa non ci daranno Amanda neanche dopo la condanna. Ma noi abbiamo riportato i marò in India…
Come da sette anni, il caso Meredith continua a infiammare l’opinione pubblica e a dividere i cittadini sempre pronti a improvvisarsi giudici. Il day after la condanna della Corte d’Appello a 28 anni e sei per Amanda Knox e 25 per Raffaele Sollecito, che ha ribaltato l’assoluzione di primo grado, si apre con la notizia del fermo di Sollecito mentre viaggiava nei pressi di Udine a bordo di un Mini Cooper diretto probabilemente al confine con l’Austria. Un day after che si consuma all’ombra dei commenti più svariati sullo sfondo dei soliti ritratti psicologici innocentisti della bella Amanda, occhi d’angelo, che ha atteso la sentenza «agitatissima», come ha confessato, ma nella sua calda dimora di Seattle con l’immancabile Edda, mamma tuttofare. Ha seguito la decisione dei giudici (come spiega uno dei suoi avvocati Luciano Ghirga), attraverso i siti internet e costantemente al telefono con i suoi difensori prima di ricadere nell’incubo (che probabilmente sarà il canovaccio del suo prossimo libro). Diverso il comportamento dell’ex fidanzatino, che, invece, si è presentato nell’aula del tribunale di Firenze. «Chi ce l’ha con me pensava che non venissi», ha polemizzato ieri prima della lettura della sentenza l’ex studente, che ora si trova negli uffici della Questura di Udine (dopo essere stato sorpreso nella notte nel capoluogo friulano dagli agenti della Squadra Mobile) per la notifica del divieto di espatrio e della misura cautelare. Nessuna misura del genere per la Knox che si trova già negli Stati Uniti, dai quali, c’è da giurarci, non verrà estradata. «Amanda è sconvolta. Tutti noi siamo sconvolti e scioccati, ma siamo anche pronti a combattere» sono state le prime parole della madre Edda Mellas, nella sua prima intervista alla Abc. Un avvertimento? Una minaccia? La famiglia Knox, non c’è dubbio, può contare sulla solidarietà “pesante” del popolo americano, convinto da sempre della sua innocenza, un contagio virale che ha portato l’opinione pubblica per mesi a scagliarsi contro «l’arcaico» sistema giudiziario italiano, le lungaggini burocratiche dei tre gradi di giudizio (impensabili per la giustizia a stelle e strisce). Per non parlare delle polemiche sulla carcerazione preventiva della bella Amanda (che dalle “sue prigioni” scriveva poesie e componeva canzoni).
L’America dei diritti difenderà fino all’impossibile la sua cittadina e probabilmente non concederà l’eventuale estradizione in Italia se la Cassazione dovesse (come è molto probabile) confermare la sentenza dell’Appello bis. Il pensiero corre ai nostri marò, da due anni “sequestrati” dalla giustizia (?) indiana che non molla la presa. Colpa dell’Italia, di un governo debole e distratto, della sua scarsa credibilità internazionale, del suo ruolo da comprimario nella compagine europea. Colpa, va detto, di un ministero degli Esteri che finora non ha dimostrato di voler andare fino in fondo per restituire all’Italia i due fucilieri di Marina. E non è il primo caso. Pensiamo alla strage del Cermis nella quale persero la vita 20 persone per “l’errore” di un aereo militare statunitense tranciò il cavo della funivia in Val di Fiemme. Il presidente dell’epoca, Bill Clinton, si limitò a chiedere “scusa” e i quattro marines non vennero mai processati in Italia, malgrado la richiesta dei pm.