Il Pd è solo un’illusione, in realtà non esiste. E difficilmente diventerà mai un partito
Ineffabile Pd. Incomparabile italico prodotto delle contraddizioni della nostra politica. Negazione di ogni probabile visione comune. Dov’è l’amalgama, si chiedeva anni fa uno smarrito Massimo D’Alema di fronte al disastro dell’appena nato partito “a vocazione maggioritaria”, secondo la favola veltroniana che tentava di accreditare un soggetto politico riconducibile alle grandi famiglie della socialdemocrazia europea? Non c’era. Non c’è. Non ci sarà mai. L’ultima querelle tra Renzi e Cuperlo, con l’abbandono di questi della presidenza del partito, sul grande tema delle preferenza, manco si trattasse della presa del Palazzo d’Inverno, dimostra che non c’è pace al Largo del Nazareno, come non ve n’è stata in via delle Botteghe Oscure dopo il fatidico 1989, né tra i superstiti post-democristiani popolari e margheritini.
Possono fare tutte le primarie che vogliono (una sciagura dalle proporzioni gigantesche: finirà come il federalismo, dal rigattiere della politica…), ma un partito che non ha una cultura di riferimento, che vive dell’occasionalità e della contingenza, che si regge su qualche battuta, che affida il suo programma a centoquaranta caratteri o, al massimo, a qualche provocatorio lancio d’agenzia, che partito è? Il Pd semplicemente non esiste. E’ un’idea che non trova una terra dove fecondare. E’ una illusione ottica, un mezzo per affermare la presenza di fragili leader costruiti dai media e nutriti dalla disperazione.
Renzi è soltanto l’ultimo prodotto di questa pianta nata rachitica e mai sviluppatasi. Ma davvero credeva che con qualche milione di voti alle primarie avesse l’investitura di tutto il partito per poter addirittura presentare all’arcinemico tre buste nelle quale c’erano tre soluzioni diverse alla crisi italiana (che non legata soltanto al modello elettorale)? Un giocherello da Ruota della fortuna che lui, il segretario fiorentino conosce assai bene, ma un quiz per politici alla ricerca del posto perduto non basta a far girare il mondo, sia pure il piccolo mondo della politica italiana, nel verso giusto.
Ed ecco i risultati: dopo quattro giorni di trionfali annunci, il Pd è un’altra volta in crisi. E da questa non ne uscirà facilmente. Sì, sono capaci perfino di fare segretario Goldrake, come Renzi ha infelicemente presagito, ma non saranno mai i mallevadori di un’autentica forza politica di sinistra. Sono pescatori di occasioni che tendono a farsi la guerra dalla mattina alla sera. Il neo-segretario ne ha già mandati a casa due, tra i più autorevoli della nouvelle vague piddina. Quanti altri gli chiederanno di essere meno autoritario ricevendone in cambio una pernacchia?
Fa male chi considera la legge elettorale secondo il rito renziano come cosa già fatta. Sarà su questa che il leader fiorentino inciamperà facendosi molto male. Sono all’opera i suoi avversari interni e molto attivi quelli esterni. Nessuno è disposto a mettere la propria testa sul ceppo per farsela tagliare in nome della governabilità. Ma della buona rappresentatività nessuno si cura? Una volta i partiti, per quanto criticabili, mettevano quasi sempre il meglio di cui disponevano in lista per ottenere suffragi. Ora vale il principio di fedeltà (canina, per giunta): non è un buon sistema per rinnovare seriamente la classe politica.
Certo, per farlo occorrono i partiti. Renzi ha dimostrato di non curarsene affatto (come non e se ne curano gli altri, naturalmente). E la guerra interna al Pd continua. Nessuno ci fa più caso. Si è cronicizzata. Il prossimo che prenderà posto al largo del Nazareno non sarà diverso. Da quell’ufficio si scende più in fretta di quanto si sale. Il Pd è solo un’idea come un’altra, insomma.