In vista delle europee ogni partito accentua le differenze: anche così si spiegano le turbolenze nella maggioranza
Nelle ultime settimane il governo è incorso in una serie incredibile di infortuni, se così possiamo chiamarli. Dalla inestricabile matassa della tassa sulla casa, di cui ancora non si capisce granché, con quell’indigeribile affastellamento di acronimi, dalla Tarsu all’Imu alla Tasi, che traccia il segno di una confusione abissale, alla vicenda poco edificante degli adeguamenti degli stipendi per gli insegnanti, prima concessi, poi revocati e poi riconcessi, l’esecutivo ha offerto l’immagine di una compagine di dilettanti allo sbaraglio. Lo stesso presidente del Consiglio, Enrico Letta, ne ha dovuto prendere atto. Rompendo lo stile anglosassone nel quale ha circoscritto finora la sua figura, ha mostrato una certa irritazione e stanchezza nel dover mettere le pezze alle cantonate di alcuni ministri. Ed anche l’incontro con Matteo Renzi deve aver risentito di questi umori se, come raccontano le cronache, tra i due non sembra proprio sia sbocciato l’idillio. Anzi, tira aria di compromesso più di facciata che di sostanza. Tanto per “tirare a campare”, in attesa che qualcosa di più organico e significativo si muova.
Non inganni la metafora galileiana dell’”eppur si muove!”, usata dal sindaco di Firenze per spiegare ai suoi l’esito dell’incontro mattutino con il presidente del Consiglio e collega di partito. Se Letta puntava a frenare l’irruenza di Renzi, è difficile credere che l’avvio del confronto sulla riforma elettorale possa essere di per sé sufficiente a calmare il dinamismo pre-elettorale del giovane segretario del Pd. Al di là delle dichiarazioni di convenienza, nessuno è in grado di scommettere con certezza sulla durata del governo. Il cui destino dipende da troppe variabili, non tutte controllabili e prevedibili. La più incerta è legata alle prossime elezioni europee. Essendo elezioni su base proporzionale, non implicano accordi di coalizioni. Ogni forza politica corre per suo conto. Pertanto ognuna avrà interesse ad accentuare i toni del confronto, a mettere in evidenza le differenze, a tentare il recupero di un elettorato insofferente, distratto e deluso puntando su argomenti a maggior presa popolare. Ed è qui che le distanze tra il nuovo vertice del Pd e la compagine governativa guidata da Enrico Letta rischiano di accentuarsi. Il presidente del Consiglio ha tutto l’interesse a mantenere un profilo basso, a non farsi trascinare in una rissa che potrebbe diventare letale per un esecutivo che mostra non poche fragilità ed incertezze.
I dati ancora sconfortanti dell’economia, e le previsioni tutt’altro che esaltanti per l’anno che è appena all’inizio, cominciano a pesare come macigni, rischiano di accelerarne il logorio. L’idea di un “patto di coalizione”, corroborato da un rimpasto di governo che affidi agli uomini del circolo renziano alcuni ministeri e ad una nuova agenda che contenga le proposte (per la verità ancora molto nebulose) in materia di lavoro e di diritti civili avanzate nei giorni scorsi dal sindaco, in teoria rappresenterebbe una via di uscita. Un modo per tenere in vita il governo e mostrare il peso decisivo del nuovo segretario. Dove i conti non tornano, e subentrano limiti nella validità di un simile “patto”, è nella mancanza di garanzie che assicurino un esito certo e in linea con i presupposti che lo animerebbero e con i contenuti delle riforme caldeggiate.
Insomma, il motto del momento in casa Pd è quello classico del “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”. Un motto che vale forse più per Renzi che per Letta, dal momento che per il primo la variabile tempo ha un peso maggiore. C’è poi la legge elettorale ad agitare ancor più il quadro politico. La tattica del doppio binario – dialogo con le opposizioni e intesa nell’ambito della maggioranza, dove il nuovo centrodestra di Alfano teme di fare la fine del vaso di coccio stretto nella morsa tra Pd e Forza Italia – se in apparenza allarga il campo di azione di Renzi, mostrandone un volto aperto e dialogante con tutti, lo rende, d’altro canto, impervio e insidioso. Non è un caso che proprio la riforma elettorale stia diventando la chiave di volta, il vero elemento di verifica per quel “cambio di passo” cui entrambi, Letta e Renzi, vorrebbero affidare i reciproci destini. Al netto delle decisioni della Consulta e delle dichiarazioni che viaggiano in rete con la velocità della luce, sembra per ora prevalere un forte sentimento di sospetto reciproco tra tutti i protagonisti di questa deprimente stagione politica. Restando in casa Pd, si fronteggiano almeno due opinioni sulla prospettiva bipolare: quella di chi intende investire sul centrodestra di nuovo conio che porta il marchio di Angelino Alfano, e quella di chi non crede nella possibilità concreta che quest’ultimo possa davvero annullare la forza di interdizione di Berlusconi. Il quale, tanto per far capire che nessuno può tenerlo fuori dalla partita, ha fatto sapere che non rinuncia alla candidatura alle Europee. Un rilancio che ha già avuto il merito di creare scompiglio e suscitare polemiche. Come era prevedibile e scontato. Così, mentre i due giovanotti ( si fa per dire!) della new age pieddina studiano le mosse con reciproca diffidenza, il Cavaliere torna ad inquietarne il sonno e ad offuscarne i sogni. Nel frattempo, i problemi per gli italiani aumentano.