L’incontro dei marò con i parlamentari italiani: “Siamo soldati, soffriamo con dignità”
«Siamo soldati, soldati italiani, dobbiamo soffrire con dignità», è stato uno dei primi pensieri scappato a voce alta a Massimiliano Latorre, che insieme a Salvatore Girone questa mattina ha incontrato per la prima volta una delegazione unitaria di sedici parlamentari italiani.Un volo speciale Roma-Nuova Delhi ha portato deputati e senatori (guidati dai presidenti delle commissioni Esteri di Camera e Senato) nella sede dell’ambasciata d’Italia dove i due marò risiedono da circa un anno. «Ci auguriamo di tornare con onore», ha detto Latorre sottolineando anche l’apprezzamento di molti indiani «che ci stimano come persone e molti pregano per noi». In attesa del 3 febbraio, data entro la quale la Corte suprema indiana dovrà finalmente dire l’ultima parola sull’assurda vicenda, finalmente da Roma arriva un’iniziativa istituzionale e unitaria, un’espressione tangibile di “presenza” che oltrepassa le appartenenze politiche e azzera i sofismi tutti italiani sull’interpretazione della missione dei fucilieri di Marina. Parola d’ordine dei membti della delegazione: fare squadra, anche se i grillini non perdono l’occasione di giocare al gioco del copyright (La missione è nata grazie a un’iniziativa del M5S, siamo stati noi i primi…).
«Ci aspettavamo da tanto la vostra iniziativa unitaria», hanno detto i due marò in divisa, «non immaginate quanto sia importante per noi questa missione, proprio per il suo carattere unitario e perché ci fa sentire la voce dell’Italia». Sull’udienza della Corte Suprema attesa per lunedì dicono di voler stare “con i piedi per terra”, «c’è un team che intorno a noi lavora sul caso e agirà di conseguenza». Latorre, per la prima volta, ha aperto le porte del suo appartamento al presidente della Commissione Esteri del Senato, Casini, chiedendo però «un po’ di privacy» ai giornalisti smaniosi di scattare foto. «Mio figlio più grande ha 12 anni, è preoccupato, mi chiede sempre notizie», ha detto con commozione celata Girone. Da Roma, intanto, il ministro Bonino ripercorre la vicenda, più con ottimismo che realismo, «il governo ha scelto la linea non degli urli, senza slabrature, con una posizione solida anche dal punto di vista giuridico: questa era la strada da seguire». Che finora, però, non ha dato i risultati sperati.
Il governo indiano, invece, ha mostrato la faccia feroce pretendendo fin da subito il processo in casa, «si è cacciato in groviglio», scrive The Hindustan Times citando un funzionario del ministero degli Interni che sarebbe «esasperato» dopo «i molti incontri dedicati a discutere del caso degli italiani. Quando discutiamo del problema di come perseguire i due militari italiani, perdiamo solo tempo. Questa questione non doveva neppure esistere». Il problema, spiega la fonte anonima, è che il ministero si «è legato le mani fin dall’inizio affidando il caso alla National Investigation Agency (Nia), un’agenzia specializzata nell’anti-terrorismo creata dopo gli attacchi di Mumbai del 26 novembre 2009. La Nia, però, può invocare soltanto leggi antiterrorismo, come il “Sua Act” (per gli atti di pirateria in acque internazionali) che prevede la pena di morte in caso di omicidio».